da LASTAMPA.it
La "sqola" che frena l'Italia
Insegnamento e formazione in Italia ancora lontani dalla media comunitaria. E chi ha il diploma, spesso non sa cosa farsene
Ci sono molti motivi che spiegano l'arrancare dell'Italia e la sua difficoltà a liberare il talento naturale che la pervade. Uno è l'istruzione. Abbiamo una scuola vecchia, ancorata a dogmi fatiscenti, in cui le nozioni trionfano sullo stimolo delle capacità. La maggior parte dei giovani finisce il ciclo dell'obbligo carica più di informazioni disinnescate che di istruzioni per l'uso della vita.
Vale la battuta che, qualche giorno fa, un politico nostrano ha fatto su un nostro esponente governativo di punta. "Ha tutto i talenti meno quello di sfruttarli". Ovvio che ci sono le eccezioni e da noi l'eccellenza non sorprende mai. Ma il livello medio è preoccupante e aiuta a capire come mai capita non di rado che gli stranieri ci mangino sul naso.
Fotografa bene la situazione, o almeno così mi pare, il Rapporto 2008 sui progressi nel raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona per lo sviluppo e la crescita economica.
Dal testo emerge che in Italia aumentano i diplomati, calano gli abbandoni precoci, ma in genere i dati restano sempre sotto la media Europea. Anche quando si tratta di competenze linguistiche dei quindicenni (in discesa libera nel nostro Paese, ma anche in molti altri Stati membri) o di educazione permanente degli adulti.
L'Italia non compare tra i "best performers" (i Paesi con i migliori risultati) in nessuno degli indicatori (tra cui figurano proprio gli abbandoni precoci) che riguardano l'istruzione superiore. E neppure tra quelli relativi all'istruzione terziaria.
È invece al top per quanto riguarda i servizi scolastici per l'infanzia. Secondo l'Ue siamo al di sopra, con quasi il 100% di partecipazione dei bimbi di 4 anni, ai livelli mediani di Europa a 27 (85,7%), Usa (65,3%) e Giappone (94,7%).
Decisamente peggio per quanto concerne gli abbandoni: nonostante punte di miglioramento, l'Italia resta tra i Paesi con il 20,8% di giovani che lasciano precocemente i banchi, contro il 10% auspicato dagli obiettivi di Lisbona.
Basse le competenze chiave dei nostri giovani nella lettura: sono più del 21% i ragazzi che hanno problemi. E tra il 200 ed il 2005, secondo il Rapporto, e' calato anche l'insegnamento delle lingue straniere. Come se non ce ne fosse bisogno…
E c'è la beffa finale. L'Ue lamenta che in Paesi come l'Italia un anno dopo il diploma il 50% dei ragazzi sono senza un lavoro. E, comunque, il 50% di quelli che lo trovano hanno un'occupazione temporanea.
Per quanto riguarda la formazione permanente, i paesi che se la cavano meglio (per numero di 25-56enni coinvolti) sono Danimarca, Regno Unito e Finlandia. L'Italia, con poco piu' del 5%, resta, decisamente sotto la media Ue.
Capito l'arcano? Parliamo tanto, e per certi versi giustamente, di riforme previdenziali, elettorali e istituzionali. La scuola e la formazione emergono di rado e poi scompaiono dal dibattito. Così dimentichiamo che avere i conti pubblici non serve a molto se la scuola resta solo e soltanto una "sqola".
Poi ci riempiamo la bocca - o meglio si riempiono, i politici - di belle parole sull'importanza dell'apprendimento e dello sviluppo della capacità. Alla prova dei fatti siamo fermi a Manzoni. Quando vedo che i programmi sono quasi gli stessi di quando ho fatto le medie negli anni Settanta, provo l'orrore di chi si trova a guardare negli occhi le regioni del nostro ritardo.
Possibile che nessuno faccia nulla? E che, riforma dopo riforma, si sia ancora al punto di partenza? Possibile. Ma c'è da infuriarsi come tori.