Meno bulli in classe con le lezioni di altruismo

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Meno bulli in classe con le lezioni di altruismo

Messaggiodi edscuola » 2 novembre 2011, 17:49

da LASTAMPA.it

Progetto pilota a Genzano (Roma)
Meno bulli in classe con le lezioni di altruismo

Imparare ad aiutare gli altri riduce l’aggressività

milano
Meno “bulli” domani se alle medie, fra le lezioni scolastiche, si impara anche l’altruismo. Come? Ogni materia ha una sua morale, persino la matematica. E proprio durante le ore di geografia, letteratura, arte, fra le pagine dei libri di scuola, i bambini di una scuola media di Genzano, città dell’area dei Castelli Romani, hanno studiato e interiorizzato i valori della “pro socialità”. Risultato: dopo un programma pianificato ad hoc per insegnare loro concretamente a comprendere e aiutare gli altri - a entrare in empatia con la società, insomma - sono risultati meno aggressivi dei “colleghi” dell’altra scuola media cittadina.

Nel confronto sono state rilevate meno condotte devianti. In una parola: meno bullismo. È così che un Comune alle porte della Capitale si è trasformato in un “laboratorio”, in cui un gruppo di ricercatori del Centro interuniversitario per la ricerca sulla genesi e sullo sviluppo delle motivazioni prosociali e antisociali dell’università Sapienza di Roma ha messo a punto un modello di prevenzione da “esportare” anche ad altri istituti e realtà. Nel progetto pilota sono stati coinvolti circa 130 bambini intorno ai 12 anni, studenti di seconda media della scuola Garibaldi, mentre come gruppo di controllo sono stati arruolati i coetanei allievi dell’altra scuola media della città.

Gli autori dello studio sono convinti che sia meglio prevenire che correggere i disturbi “esternalizzanti” come quelli della condotta quando ormai sono esplosi. «La nostra teoria è che la “pro socialità”, cioè quei comportamenti volontari diretti a portare beneficio agli altri, è un fattore protettivo, ma anche un facilitatore del recupero di soggetti a rischio di comportamenti delinquenziali» spiega all’Adnkronos Salute Gian Vittorio Caprara, professore ordinario di Psicologia della personalità all’università Sapienza di Roma. Il primo passo è stato quello di istruire gli insegnanti che, attraverso riunioni e incontri, sono stati introdotti ai problemi dell’adolescenza e alle condotte prosociali come strumento di contrasto delle condotte pericolose e antisociali.

La ricerca è stata approvata dal consiglio di istituto e anche i genitori sono stati sensibilizzati. L’adesione era su base volontaria, «ma la risposta che abbiamo ricevuto è stata molto positiva» precisa Caprara. Per misurare l’efficacia dell’intervento sono stati valutati i ragazzi prima, subito dopo e dopo un anno.

«Riteniamo che i comportamenti prosociali siano il risultato di tendenze prosociali spontanee, presenti in misura diversa in tutti, che vengono identificate e poi rafforzate e incanalate». Prima ci sono queste tendenze, poi arriva concretamente il rispetto per le persone, ma anche per la natura, la generosità, la capacità di cooperare. E «poiché anche le migliori intenzioni non si traducono necessariamente in azioni - spiega Caprara - l’intervento sugli studenti prevedeva anche strategie per garantire lo sviluppo delle abilità prosociali, della consapevolezza di esserne in possesso».

I piccoli dovevano diventare capaci di regolare le proprie emozioni e di saper gestire rabbia, tristezza, paura, ma anche gioia, entusiasmo, curiosità. E poi dovevano riuscire a mettersi in relazione con gli altri assumendone le prospettive, imparando a comprenderli e a confrontare le proprie emozioni con le loro, intercettando eventuali richieste di aiuto.

«È da qui - prosegue l’esperto - che si arriva al comportamento prosociale. Ci ha guidato un modello teorico». Poi si è passati alla fase didattica: «Sono stati predisposti laboratori e animazioni per aiutare gli studenti a padroneggiare il lessico dei sentimenti. E poi a sperimentare la abilità prosociali. Agli insegnanti abbiamo chiesto di prestare attenzione, nelle materie che insegnano, ai valori della cooperazione e di metterli in risalto. L’arte si è prestata benissimo allo scopo, così come la letteratura, ma anche la stessa matematica - costruendo per esempio problemi che chiamano in causa il risparmio ottenuto mettendo in pratica il rispetto per il territorio - ci ha aiutato a sviluppare il senso civico degli alunni».

Dal confronto con i coetanei dell’altra scuola media è emerso che «le differenze erano significative - riferisce Caprara - Fra i ragazzi che avevano seguito il programma speciale c’erano meno condotte aggressive. Se mettessimo a regime questo progetto nelle scuole si eviterebbero molti interventi futuri».

Testato il modello su un gruppo normativo a Genzano, il progetto si è trasferito in Lombardia, dove si è aggiunto un nuovo filone.

L’ospedale San Paolo di Milano e l’Irccs Fatebenefratelli di Brescia, in collaborazione con le aziende ospedaliere Spedali Civili di Brescia, Niguarda di Milano, Manzoni di Lecco, Valtellina e Valchiavenna, Sondrio e Istituto Mondino di Pavia, hanno condotto sul territorio lombardo uno studio sugli adolescenti seguiti dai servizi di Neuropsichiatria infantile. Coinvolti circa 100 ragazzi con diagnosi psichiatriche connesse ai problemi di comportamento. «I risultati ottenuti a distanza di 6 mesi suggeriscono l’utilità di integrare i trattamenti dei servizi con azioni volte a potenziare le competenze prosociali degli adolescenti», spiegano gli esperti.

L’intervento nelle scuole allargherà i propri confini il prossimo anno scolastico, volando fino in Colombia, dove la Universidad San Buenaventura procederà in modo analogo in istituti di Medellin. «Stiamo lavorando per capire se agendo per tutelare la salute mentale dei ragazzi si possa prevenire l’esplosione di disturbi - conclude Massimo Molteni, coordinatore del programma nazionale di ricerca strategica in età evolutiva, guidato dall’Irccs Medea-La Nostra Famiglia - Se un soggetto è sfortunato per via di un gene pescato dalla lotteria genetica, si può comunque fare in modo che l’ambiente in cui vive non sia tossico».

Una conclusione che l’esperto conferma anche dopo uno studio di follow-up epidemiologico condotto dall’Irccs Medea su 470 ragazzi fra i 16 e i 18 anni, ricontattati per valutare se esiste una persistenza nei tratti patologici osservati tra i 12-14 anni anche in adolescenza, e quali fattori sembrano influenzare la permanenza o la nuova insorgenza di disturbi. Fra le altre cose, Molteni e i ricercatori che firmano lo studio osservano «il ruolo chiave giocato dalla presenza di eventi di vita considerati avversi nella fase adolescenziale».

È fondamentale in questo senso il concetto di perdita, osserva Molteni: «Perdita ineluttabile e incontrollabile in alcuni casi (ad esempio la perdita di un genitore o della salute a causa di malattie), perdita controllabile in altri (per esempio la perdita di privilegi data da momenti di crisi economica. Per un ragazzo anche la rinuncia obbligata a una vacanza, un viaggio o la perdita di uno status dato da bisogni indotti, come il telefonino e l’abito firmato può avere una ricaduta negativa su questi ragazzi e incidere sull’evoluzione della patologia».

Se si vuole promuovere il benessere psicologico dei giovani, conclude, «occorre avere particolare cura dell’ambiente sociale in cui vivono: se molti eventi sono infatti ineluttabili, altri - quali ad esempio un ambiente violento o l’induzione di bisogni irrealistici, soprattutto in tempi di crisi come questo - potrebbero essere almeno parzialmente limitati».
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