Se male e bene giocano tra i banchi

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Se male e bene giocano tra i banchi

Messaggiodi edscuola » 20 gennaio 2008, 21:43

da Corriere della Sera

Uno scrittore, un giallo
Se male e bene giocano tra i banchi

Come possiamo non credere ai nostri bambini? « papi, mi brucia. non è abituata».
I Bambini dicono le bugie ma sono incapaci di costruire il falso, i bambini sono innocenti, i bambini sono la bocca della verità. «L'uomo nero ci ha fatto fare dei giochi brutti».
Possiamo non credere ai nostri bambini ma come credere all'uomo nero?

Come possiamo credere all'esistenza del Male con la maiuscola, del male incarnato? Anzi, come possiamo non credere? Come si può vivere senza una fede, senza una qualsiasi religione? Il Male come il Bene, il Diavolo come Dio, sono materia di fede. Se credi al diabolico, credi anche al divino. E' un giallo teologico questo di Rignano Flaminio. Un delitto senza nessuna certezza, forse addirittura un delitto senza delitto. Ci chiede se credere: nel Male, nel Bene.
Ma prima, i fatti.
Domenica 16 luglio 2006. Ore 13.26 in una casa qualunque di un piccolo comune del basso Lazio. Da poco l'Italia ha trionfato ai mondiali di Germania, in un sussulto di buon umore popolare, di speranza grossolana e benedetta nella vita. Ma questa non è domenica di maccheroni al sugo, pisolino e partita di pallone nel cortile. Non c'è la proverbiale tenerezza negli occhi della mamma che osserva la sua bambina. C'è la paura che mangia l'anima: «Guarda qui piccola mia, guarda che ci riprende pure Papino … insegnaglielo un po' a Papino. Ecco così. E poi? Al sederino cosa ti mettevano? Un asciugamano avevano?». La bimba mostra l'asciugamano e si volge verso il padre. Però non ricorda, recalcitra, protesta, nega. I genitori insistono, smaniano, suggeriscono. La bimba, infine, guarda in camera e simula la masturbazione. «Chi te lo ha insegnato il giochino, a mamma? Dove spingi, alla patatina o al sederino? Lo facevano anche agli altri bambini? Chi te lo ha insegnato? Come non lo sai?! Me fai vedè? Me fai vedè?».

Il papà e la mamma che interrogano e filmano la loro bambina si sono incontrati con altri genitori la settimana prima. Tutti hanno figli che frequentano la scuola materna «Olga Rovere» e tutti, prima o dopo l'incontro, hanno sospettato che i loro bambini siano stati abusati sessualmente. Il giorno successivo, il 9 di luglio del 2006, nella caserma dei carabinieri di Bracciano sono state depositate le prime denunce.

Gli incubi dell'estate
L'estate a Rignano è afosa, taglia le gambe e mozza il respiro in gola, un'estate da effetto serra, un'estate che porta il tremore della separazione, che annuncia l'apparire dell'ultima età. Nel basso Lazio come nel resto del mondo. Ma a Rignano i bambini si agitano nel sonno, urlano all'improvviso, si muovono in modo convulso, quando passano davanti a uno specchio fanno smorfie terrificanti. Se per distrarli gli si danno dei pastelli e un foglio di carta, prima disegnano organi sessuali, corpi senza arti, uomini incappucciati, poi si feriscono da soli tagliuzzandosi le braccia, le gambe e il pisellino con la punta delle matite colorate. Una bambina non fa più la pipì da quattro mesi. E allora il pubblico ministero della Procura di Tivoli nomina una consulente tecnica. Arriva la prima ispezione alla scuola materna. I primi bambini del paese vengono visitati presso l'Ospedale Bambin Gesù. Rignano sembra trasformarsi in una terra di serpi. Ma anche l'angoscia è una serpe. La vergogna, lo sgomento, una paura più grande per ora gli schiacciano la testa.

La perquisizione
12 ottobre 2006, ore 8 del mattino. I genitori che hanno accompagnato a scuola i loro bambini si sentono per un attimo preda di un'allucinazione. Vedono i nastri fosforescenti, i carabinieri in tutta bianca, quelli del Ris dell'omonima serie Tv, che delimitano la scena del crimine. Tenendo i loro piccoli per mano, padri e madri di Rignano credono di aver acceso la televisione. Ancora non sanno che è la televisione che sta per accendersi su di loro. E' la prima perquisizione in orario scolastico della scuola materna «Olga Rovere ». Il giorno successivo sul Corriere di Viterbo verrà pubblicato il primo lungo articolo sui presunti abusi di Rignano Flaminio e quella scuola verrà ribattezzata «la scuola degli orrori».

Da quel 12 ottobre Rignano non vive più sotto lo stesso cielo degli altri paesi d'Italia. Ora ogni segno è sintomo, ogni disagio è abuso, ogni attesa è presagio. Un miasma, una pestilenza vaporosa grava su Rignano Flaminio come sulle antiche città maledette della tragedia greca. Il flagello è aereo, il contagio immediato: nei mesi successivi le riunioni private si moltiplicano, s'indicono le prime assemblee pubbliche, decine di bambini vengono portati a farsi visitare, centinaia di famiglie si costituiscono in associazione, migliaia di file su pedofilia e rituali satanici vengono scaricati da Internet.

Crescono di numero i bambini che di notte urlano nel sonno e di giorno vengono filmati dai loro genitori mentre descrivono orchi incappucciati che bevono il sangue, maestre cattive che toccano e pungono la patatina e il culetto, mentre mimano giochi erotici con bambole e orsi di peluche. A scuola, intanto, si fa divieto d'ingresso ai genitori, agli insegnanti si vieta di cambiare il pannolino ai bimbi. La recita natalizia si svolge in giardino. I genitori banditi si accalcano fuori dalle inferriate. Stanno fuori ma gli animali in gabbia sono loro. Rignano è un paese in cattività e la gente si fa cattiva. Durante l'assemblea del 13 dicembre, una folla inferocita affronta la preside della «scuola degli orrori ». A piangere ora sono i bambini che la professoressa tiene per mano, i suoi figli.

Il silenzio dopo gli arresti
24 aprile 2007. Tre maestre della scuola elementare «Olga Rovere», già sospese cautelativamente nel mese di febbraio, vengono arrestate. Con loro vengono arrestati anche una bidella, un ex benzinaio cingalese e il marito di una delle maestre. L'accusa per tutti è di aver rapito i bambini durante l'orario scolastico, di averli probabilmente drogati, condotti in appartamenti privati e lì di averli abusati sessualmente nella cornice di rituali satanici. La notizia passa di gola in gola con una foga da spasmo, un rantolo convulso. Poi cala un silenzio d'apnea. D'un tratto, pare che a Rignano tutto l'universo arretri di un passo e trattenga il fiato. L'attesa è finita. Il Male esiste. Il Male è alla sbarra. Ma sospirare comunque non si può. Ci sarà forse la verità, ci sarà forse giustizia. Di qui innanzi, però, non ci sarà più sollievo. Per nessuno.
Il Male esiste. Di più: urla la propria esistenza. Fino a ieri oscuro, ora il male brilla di una traslucida evidenza. Spuntano medici che dichiarano di aver riscontrato sui bambini «sintomi inappellabili di un abuso sessuale», celebri psichiatri avallano l'idea di una «colpevolezza diffusa», le associazioni a tutela dell'infanzia gridano allo smascheramento del complotto pedofilo, i genitori delle presunte vittime cominciano a condividere la propria sofferenza con il pubblico dei programmi tv, i giornali titolano
Il lungo silenzio del paese dei mostri, i giornali titolano Spariscano per sempre, i giornali titolano
Nessuna pietà per gli orchi.

11 maggio 2007, un venerdì delle ceneri. Il tribunale del Riesame di Roma decide la scarcerazione dei sei indagati. I referti medici sui bambini sono negativi. Nessun riscontro oggettivo delle presunte violenze ma anche nessuna testimonianza diretta: i bambini non li hanno sentiti né magistrato né carabinieri. Ci sono solo le relazioni scritte della consulente del pm e le parole riferite dai genitori. In più ci sono una montagna di incongruenze, forzature procedurali, errori metodologici e inverosimiglianze (a cominciare dal sequestro in orario scolastico di cui nessuno si sarebbe mai accorto). Al Bar Sport gli innocentisti esultano. Il parroco fa suonare le campane a stormo. Si brinda e si grida: «Liberi, Liberi!».

M a c'è poco da esultare. Da questo momento in avanti il Male non esisterà più se non come negazione del bene, ritornerà nel-l'oscurità da cui era venuto. Decanterà il male sul fondo dell'esistenza afflitta di adulti e bambini, come un dolore interrato in una radice ignota. Il dolore, la sofferenza: rimarranno, insepolte, soltanto quelle. I disturbi dei bambini sono, infatti, indubitabili. La loro sofferenza, quella dei loro genitori, resterà l'unica certezza. E un dolore privo del Male, una sofferenza non imputabile a nessuno, sono più di quanto l'essere umano possa sopportare. Da questo momento in avanti, il Male non sarà più parte dell'essere ma la minaccia a ogni fiducia umana nella solida, rassicurante consistenza dell'essere. Sfiducia, negli altri, nelle cose, in se stessi.
4 luglio 2007. La Procura di Tivoli ricorre in Cassazione contro la scarcerazione. L'inchiesta s'incattivisce, le denunce si moltiplicano, si moltiplicano le apparizioni televisive, i parenti chiedono giustizia e gli inquirenti si ostinano lungo la stessa pista. Ricominciano gli interrogatori dei bambini, questa volta in aule di tribunale riadattate a stanze dei giochi. Il loro trauma viene fatto rivivere ancora una volta, ancora una volta filmato, con pm e avvocati che seguono da un monitor in un'altra stanza. Ma è una pista che non conduce da nessuna parte se non in una selva oscura di sentieri interrotti.

10 ottobre 2007. La Terza sezione della Cassazione dichiara inammissibile il ricorso della Procura di Tivoli. Tutti hanno agito certamente in buona fede ma è avvenuto un «contagio dichiarativo », l'epidemia della suggestione che diventa autosuggestione, gli interrogatori dei bambini che diventano manipolazione involontaria di una falsa memoria, le loro risposte che assecondano le interpretazioni suggerite dagli adulti. E agli adulti potrebbe averle suggerite il mito degli Abusi Rituali Satanici, la leggenda dei pedofili satanisti che da decenni assilla il nostro immaginario mediatico e da secoli la nostra memoria culturale profonda. Nemmeno la sofferenza dimostra più alcunché: i disturbi emotivi dei bambini potrebbero essere stati indotti non dagli abusi sessuali subiti ma dal calvario di interrogatori, visite mediche e ansie famigliari. La ferita c'è, indubbiamente: la si vede ancora sanguinare. Ma rimarrà non rimarginata. La sua verità, qualunque fosse, è andata perduta.

Questi i fatti ma, ma come si diceva in principio, qui i fatti sono ciechi. Si tratta di credere o di non credere. Ma sarà sempre una fede solitaria, privata, prossima al delirio («Ma allora siamo tutti pazzi?», protestano i genitori straziati). Una fede senza il conforto della fede. Per secoli, finché la fede cristiana è stata ovvia, le portentose manifestazioni del divino furono accolte come segnali dell'esistenza di Dio. Guarigioni e miracoli potevano essere accettati come segnali autentici, o ricusati, ma non si dubitava di Dio. Oggi, da ognuno di essi si attende la prova della sua dubbia esistenza. Ciò che vale per il sommo Bene vale anche per il Male. Tutti noi oramai abbiamo un rapporto solo fiduciario con il Maligno: siamo nell'arbitrio riguardo alla sua esistenza. Il Male è per noi un'opinione come un'altra.

Il dolore senza fine
Tutti noi, proprio come la gente di Rignano, siamo in preda a suggestioni di massa, a un immaginario prevalente e debordante. Il che non significa che la violenza, la sofferenza e il dolore non esistano. Al contrario: significa che essi soltanto esistono, abbandonati a loro stessi. Autoctoni, tremendi e insignificanti. Il che non significa che il male non esista ma che il suo accertamento è impossibile, forse addirittura impertinente. E' indispensabile l'accertamento della verità per il circo mediatico? No. Funziona benissimo in sua assenza. Perfino meglio. E' urgente la cattura dei colpevoli? No. Lo spettacolo deve continuare.

E, allora, ciò che rimane del fuoco sono uomini, donne e bambini segnati da un marchio indecifrabile, trasformati in casi irrisolti di cronaca nera. Ciò che ci resta è la cronachizzazione della vita quotidiana, la riduzione di tutta la nostra esistenza a un fatto vissuto e raccontato come fa la cronaca nera, che si nutre di dolore e sofferenza ma nega a essi qualsiasi riscatto, qualsiasi destinazione superiore. Ciò che resta è la cronicizzazione della vita quotidiana, la trasformazione dell'esistenza in una patologia inguaribile di lungo decorso. E intanto già ci vietiamo di sbaciucchiare in pubblico i nostri bambini, già in nord America si costruiscono conventi e seminari con le pareti di vetro. A fronte di ciò, non abbiamo che la commozione per le vittime, tutta la pietà di cui siamo capaci. Non sono mai stato a Rignano, non ho mai incontrato, annusato, sfiorato le vittime e queste mie parole non fanno un reportage. Il miraggio di prossimità del miscredente che vuole mettere la mano nella ferita sul costato sanguinante non mi tenta. Non sono mai stato a Rignano ma sono stato bambino. E, forse, la sola compassione che meritano le vittime della cronaca nera è quella che ci spinge a gettare anche la nostra esistenza sul piatto del dolore irredento. Perfino la nostra infanzia.

«Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre ».
Il bambino biondo tiene gli occhi blu fissi nel vuoto, lo sguardo allucinato. La mamma gli toglie la cornetta del telefono dalle mani e rassicura la polizia all'altro capo del filo: non è vero, non accade nulla di terribile nel cuore della notte, suo figlio è sonnambulo.

I poliziotti vengono comunque a controllare. Quando arrivano, tutto appare tranquillo. Nessuna traccia di violenza. Il bambino è già di nuovo nel suo letto. Ha urlato ancora un paio di volte di terrore nel sonno, poi si è chetato.
Quel bambino sono io.

Antonio Scurati
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