La crescita tornerà solo investendo in capitale umano

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La crescita tornerà solo investendo in capitale umano

Messaggiodi edscuola » 11 settembre 2011, 7:43

da l'Unità

La crescita tornerà solo investendo in capitale umano
Intervista a Piero Cipollone

Economista di fama, presidente dell’Istituto Invalsi fino alla recente nomina alla World Bank, come direttore esecutivo. Piero Cipollone si è occupato di scuola da un’angolazione particolare e quanto mai attuale, studiando le ricadute economiche delle risorse investite sul sistema dell’istruzione. Direttore, cosa significa oggi investire sul “capitale umano” in Italia? «In questi mesi l’Italia sta affrontando una grave crisi finanziaria, il nodo è quello della sostenibilità del debito pubblico nel lungo periodo. Oltre a correttivi urgenti e necessari, l’uscita da questa fase non può avvenire senza un ritorno della crescita. E al centro di ogni strategia di crescita per economie avanzate come quella italiana c’è l’investimento in capitale umano,che significa sostanzialmente la valorizzazione dell’intelligenza, della creatività, dell’inventiva delle persone, soprattutto di quelle più giovani. L’economia italiana può tornare su un sentiero di crescita sostenuto, nel rispetto dei vincoli di bilancio, e ridurre progressivamente il peso del debito pubblico se sarà in grado di tornare a produrre una vasta gamma di beni e servizi sofisticati, a prezzi competitivi, altamente appetibili nei mercati internazionali. Ma la premessa è una popolazione altamente qualificata, capace di adattarsi ai continui cambiamenti della tecnologia e dei mercati, alla continua ricerca di soluzioni innovative. In ampi segmenti della nostra economia queste condizioni ci sono: vanno esportate nel resto dell’economia. Ecco perchè è necessario investire sulla parte più dinamica della popolazione, quella più sensibile a interventi formativi: i giovani. Ecco perchè i processi formativi e la scuola devono tornare al centro del dibattito di politica economica. Che tipo di paese saremo in dieci-quindici anni, dipende in gran parte da quale formazione offriamo ai ragazzi». Che fotografia scatta del sistema educativo italiano? «Direi che fatica ad adattarsi a un ambiente esterno profondamente cambiato in pochi anni. In parte perché non è chiaro cosa si chiede alle nostre scuole. Non si èmai detto con chiarezza quale sia il loro compito fondamentale tra promozione degli apprendimenti vis a vis e altre funzioni (la socializzazione, il ruolo di puro child care). E i criteri che abbiamo adottato per valutare il nostro sistema educativo non hanno aiutato: per anni abbiamo guardato a indicatori di input (quanti insegnanti, quante scuole, quanta spesa per studente), o di successo basati su quantità (numero di promossi, diplomati ecc.), o indicatori di qualità del tutto inaffidabili (voti negli scrutini, voti o giudizi negli esami finali). Così è difficile per le scuole avere una idea chiara del loro mandato. Infatti quando si valutano gli apprendimenti con misurazioni standardizzate e uniformi si osserva un fenomeno molto interessante: a parità di condizioni (economiche degli studenti, di risorse per gli istituti, tipo di scuola e area geografica) alcune scuole sono eccellenti mentre altre, e in alcune aree del paese sono la maggioranza, presentano ampi margini di miglioramento. Questo è il dato che colpisce di più: l’estrema varietà dei livelli di apprendimento dei ragazzi. Oggi allora non è più tollerabile sottoutilizzare il potenziale di ogni singolo ragazzo, ne va del destino del singolo e dell’intera collettività». Le risorse investite oggi in scuola e università di quanto sono al di sotto del fabbisogno? «Non ho una risposta precisa. Il confronto internazionale indica che in Italia la spesa per studente è simile, nella scuola, a quella degli altri paesi Oecd. Forse però è più utile chiedersi se il paese usa al meglio le risorse investite nelle scuole, cioè se ogni euro che spendiamo nella scuola è utilizzato al meglio per promuovere i livelli di apprendimenti dei ragazzi. Su questo punto va notato che purtroppo in altri paesi ogni euro speso nella scuola “produce” livelli di apprendimento più elevati che da noi. Anche qui va rilevato l’estrema variabilità tra le scuole del paese. Alcune scuole ottengono risultati eccellenti, altri meno, a parità di risorse investite. Dobbiamo fare di questo punto di debolezza un punto di forza. È difficile reperire risorse aggiuntive per la scuola in questo quadro dei nostri conti pubblici. Può non piacerci ma questa mi pare la realtà. Allora occorre esercitare la creatività per fare in modo che ogni euro sia utilizzato al meglio, almeno tanto bene quanto fanno la media delle scuole. È un modo diverso di reperire risorse». Come si colloca l'Italia nel contesto Ue,oggi che l’Europa deve fronteggiare sempre più la concorrenza di Brasile, Cina, India? «Come dicevo prima, il capitale umano è centrale in ogni strategia di sviluppo. Purtroppo l’Italia è in forte ritardo. Lo denunciano tutte le indagini comparative internazionali finalizzate alla misurazione delle competenze e delle conoscenze della popolazione, sia essa a scuola o no. E questo non è un buon viatico per i prossimi anni. Qualche buona notizia viene però dall’ultima indagine Pisa che segnala un forte recupero delle nostre scuole rispetto a quelle dei paesi Ocse, grazie anche a un sensibile miglioramento degli apprendimenti nelle scuole del Sud. Segnali confermati dalle indagini Invalsi di questi anni». L'attuale manovra del governo incide moltissimo sugli enti locali, che così dovranno forse ridurre servizi come nidi e materne. Una utogol per il sistema Paese? «Naturalmente un calo delle risorse che compromettesse la qualità dei servizi non giova. Però non c’è un’associazione automatica tra soldi spesi e qualità degli apprendimenti. Non c’é a livello nazionale nè internazionale. Lo dico non per sminuire i possibili problemi che derivano da un calo delle risorse, ma per dare un incoraggiamento: non bisogna disperare di fronte alle difficoltà finanziarie perchè questo ne amplificherebbe l’effetto. È importante sapere che al livello della singola scuola si può fare altrettanto bene anche con meno risorse; è certamente più difficile ma si può fare». Che interventi raccomanda a un futuro governo di centrosinistra? «Dare alla scuola l’attenzione che merita».
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