Bocciare e interrogare come non formare il carattere dei ..

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Bocciare e interrogare come non formare il carattere dei ..

Messaggiodi edscuola » 17 gennaio 2008, 20:16

da Unità

Bocciare e interrogare come non formare il carattere dei ragazzi
Enrico Palandri

La nostra scuola

Nelle scuole italiane si studia molto, moltissimo in certi casi. Oltre ai sei giorni di scuola ci sono compiti e interrogazioni il lunedì, che significa che anche la domenica deve spesso essere impiegata per il lavoro. Ci sono compiti per le vacanze e lo spettro costante della bocciatura. C’è naturalmente molto di buono da difendere nelle nostre scuole, e lo dico soprattutto confrontando quello che sanno i diplomati e i laureati italiani rispetto ai loro coetanei europei. Ma alcuni aspetti di della nostra scuola restano davvero primitivi, caratterizzati da un’inclinazione negativa, punitiva di tutto il sistema che infatti viene regolarmente e da sempre parodiato. Dovremmo chiederci: cosa prepara esattamente una interrogazione? In quali circostanze, nella vita adulta, si viene sottoposti a una circostanza così degradante? Forse se si commette un reato, o se si tradisce il coniuge, ma nelle normali circostanze professionali in cui si agisce da adulti non c’è quasi nulla che le somigli. Oppure la bocciatura, che viene utilizzata sempre con grande leggerezza, come se intorno alla scuola da cui si viene bocciati vi fossero infiniti cicli di studio enon la droga, l’emarginazione, il rifiuto. Nell’appassionata difesa della competenza nella propria disciplina alcuni professori appaiono talvolta, e da sempre, capaci di sorvolare su ciò che minaccia un ragazzo o una ragazza una volta che siano esclusi dai loro coetanei e dal corso degli studi. Si accaniscono su alcuni aspetti del curriculum scolastico come se scopo della scuola dovesse essere certificare alcune competenze e non al contrario accogliere, integrare, costruire comunità e non perdersi per strada le persone, aiutare tutti a giungere a una maturità che non è solo fatta di contenuti trasmessi, ma di un sapere vivere insieme. Io sono tornato in Italia da Londra perché i miei figli ricevessero una buona educazione e tutto sommato resto convinto di aver fatto (cinque anni fa) la scelta giusta. La selezione sociale in Inghilterra avviene o attraverso il censo, pagando cifre altissime (anche sopra i ventimila euro all’anno per figlio) per alcune scuole, oppure per merito, ma anche questo è un criterio che io amo poco. Nella società non ci sono solo i più intelligenti ma tutti, dobbiamo saper avere a che fare con chi è più e con chi è meno capace e la scuola italiana produce altrettanti studiosi eccellenti senza bisogno di selezioni basate sul merito, che alla fine stimolano nei ragazzi qualità poco simpatiche destinate a irrigidirsi orgogliosamente. Anche in questo il nostro a me pare un sistema assai più aperto e fecondo di quello anglosassone. Forse la fortuna maggiore della nostra scuola è stata la scarsa conseguenza delle sue riforme, che hanno così lasciato il greco e il latino al centro di una formazione classica e un’ampia formazione scientifica per molti. Alcuni aspetti, come l’idea di letteratura nazionale o i corsi di storia, restano probabilmente vulnerabili alla critica che gli viene mossa dagli americani, di essere cioè great narratives eurocentriche, ma direi che tutto sommato è ancora meglio una great narrative che nessuna narrative, e lo studio specializzato e precoce, e alla fine piuttosto inutile, di un aspetto della seconda guerra mondiale per dare l’esame di storia o di un autore per dare quello di letteratura, non valgono i corsi sistematici della maggior parte delle nostre buone scuole. Detto questo, la grande preparazione degli studenti italiani viene completamente sprecata. Non solo per la mancanza di sbocchi professionali, ma proprio per il generale avvilimento della personalità, un qualunquismo un po’ pavido che è il risultato di un sistema che ha al centro dei suoi strumenti pedagogici interrogazione e bocciatura e una mentalità negativa che è il contrario della formazione del carattere. Se mai, si potrebbe dire, forma complessi, fiducia nel conformismo piuttosto che nell’impresa, desiderio di copiare i compiti e cavarsela in un modo qualunque. Gli studenti inglesi che ho avuto in questi anni alla fine della loro esperienza scolastica sono pronti a fare anni di volontariato nel terzo mondo, a intraprendere carriere e corsi di studio in tutto il mondo, in Italia sono accusati dal nostro ministro dell’Economia di essere bamboccioni. Certo, se tutto quello che affronti a scuola ti viene contro piuttosto che incontro, come potrebbe essere diversamente? Così, quando si vedono arrivare a Londra gli Erasmus italiani, si ha la sensazione di trovarsi davanti ragazzi che escono per la prima volta di casa e che dubitano di poter restare davvero fuori dalla famiglia una volta rientrati in Italia. Questo non perché siano meno capaci, al contrario, ma perché la mentalità di chi aspetta una bastonata, un fallimento, una bocciatura resta il fantasma che segna tutti i destini, dei più bravi come dei meno bravi, per cui molti di loro vivono all’ombra di un percorso immaginario, una carriera e una famiglia che sembrano l’unico modo per sopravvivere nella società italiana. Sono spesso degli Emilio Brentani, terroirzzati di quello che diranno gli altri della loro vita sentimentale, oprressi da un provincialismo che conoscono alla perfezione senza tuttavia l’allegria per poterne ridere, per potervisi sottrarre. Sembra che la giovinezza, con la sua spericolata ricerca di un senso e un destino, sia stata ridotta a un sogno e le persone si dividono in eterni ragazzi e ragazze, che passano il tempo a pensare al calcio e le vacanze, o vecchi precoci, rassegnati a una grigia imitazione dei padri che non fa nulla per essere il proprio tempo, per porre e rispondere a domande che siano all’altezza del proprio tempo. Lo si vede purtroppo in tutta la società che vive costantemente sull’orlo di una crisi, in un’attesa poliziesca di un colpevole qualunque, che sia un politico corrotto, un assassino o un personaggio celebre caduto in disgrazia. Forse chiedere di togliere bocciatura e interrogazioni potrebbe essere un piccolo inizio, aprire una finestra in una stanza in cui i ragazzi vengono tenuti fino al soffocamento di ogni buon umore. Tra l’altro mi pare lo avessimo tentato e in parte ottenuto negli anni ’70, ma forse la tristezza che avvolge il ripetersi dei nostri riti ha inghiottito anche quei piccoli successi degli studenti di alcuni anni fa.
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