Istruzione nei guai, e' in crisi di senso

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Istruzione nei guai, e' in crisi di senso

Messaggiodi edscuola » 4 maggio 2011, 17:30

da Il Tirreno
1 maggio 2011

Il prof. Gaudio: il capitale umano è il bene più prezioso ma lo sprechiamo

«Istruzione nei guai, è in crisi di senso»

LIVORNO. «Sbaglia chi la vede soprattutto come una questione di performance scolastiche invece che come un problema di crisi di senso»: l'educazione ha certamente anche finalità pratiche che rimandano al cosa e come insegnare ma la questione del perché non è legata solo alle sue finalità (cosa e per che cosa insegnare) ma anzitutto al suo orizzonte (per quali fini)». Parte da qui il prof. Angelo Gaudio, 51 anni, studioso livornese con cattedra all'università di Udine e specialista di sistemi educativi e storia della pedagogia. In una recente intervista al Tirreno il sindaco Cosimi aveva messo l'accento sul fatto che in Toscana il 14% dei giovani sotto i 29 anni non studia né lavora... «Il capitale umano è il bene più prezioso, non solo economico, di cui disponga una comunità. Ma ve n'è una consapevolezza limitata: forse non in teoria ma certamente in pratica. È relativamente facile individuarne le patologie ma molto meno correggerle». Ma in provincia di Livorno si supera il 20%. Quasi un record. Perché? «La risposta sta nella storia economica della città, che ha visto una realtà centrata su grandi aziende pubbliche. La transizione ad altre attività produttive, e quindi anche a scuole che ad esse preparino, è ancora in corso». Forse quella percentuale nasconde lavoro nero, lavoricchi, precariato sotto-proletario? «Questo forse è un aspetto sul quale potrebbe dire qualcosa di realmente efficace più chi guarda le cose dalla sponda dell'economia o della sociologia anziché chi le osserva dal versante della scuola. Mi sembra però che talvolta, magari a corrente alternata o per fasi come nelle mode, ci si innamori di questa o quella categoria». Tradotto? «Stiamo parlando di una questione che certo non può essere vista solo in un'ottica localistica, come se esistesse solo a Livorno. Andrebbe scomposta per fascia di età, per genere, per titolo di studio. Senza contare che rimanda a diverse altre cose...».
Faccia esempi concreti? «Dal mio punto di vista, guarderei alla percentuale di diplomati rispetto al totale di ragazzi in quella fascia di età. alla percentuale di laureati, ai titoli di studio "deboli" (come i comunicatori ma anche i ragionieri con 36 o diplomati liceali senza voglia). Ma anche...». Anche cos'altro? «Esiste nella nostra zona un problema di limitata presenza di formazione professionale non scolastica: o scuola o lavoro oppure nulla. Forse "quasi" nulla: una volta, ad esempio, c'era l'Ancifap al Cantiere quand'era ancora nella galassia Iri. Mancano anche i centri di formazione professionale dei salesiani. E poi si potrebbe mettere nel conto qualcos'altro che riguarda la fascia di età immediatamente successiva, quella dell'assestamento nel mondo del lavoro ritardato per via del lunghissimo precariato. Mi riferisco alla carenza di servizi per l'infanzia: asili nido sì ma anche congedi parentali e sostegni al reddito delle giovani coppie». C'è anche una limitata disponibilità a muoversi: meglio disoccupato a Livorno che ingegnere (ora forse solo impiegato) a Milano... «A Livorno, ma non si creda che altrove la musica sia poi così differente, io vedo soprattutto una via d'uscita che è il "relativamete sottoccupato". Per dirne una: il laureato in informatica che fa il programmatore...». E per dirne un'altra? «Quanti laureati brillanti che si arrangiano a fare il bancario generico. Non è nel lavoro che cercano la realizzazione di sé, lo trovano in altro: l'impegno in associazioni, l'attività politica, talvolta anche il gusto di avere tempo libero per fare sport, hobby o altro. Sia chiaro, questi fenomeni magari non saranno ottimali per l'economia in senso stretto ma li ritengo un bene per la società nel suo complesso. La qualità della vita e la civiltà di Livorno sono fatte anche di Misericordie o di Cure Palliative». Ai ragazzi diciamo tutti di studiare, ma dai rapporti Excelsior risulta che gli imprenditori non dice che non farà assunzioni: le farà, ma quasi tutte con qualifiche molto basse. Pochissimi laureati, anche i diplomati sono un lusso...
«Diciamo subito che: 1) non è detto che gli imprenditori sappiano fare previsioni; 2) certamente il lavoro dipendente nelle piccole imprese locali è solo una parte del lavoro: è anche autonomo o pubblico o di filiali di aziende o organizzazioni di portata nazionale se non multinazionale. Queste indicazioni che arrivano dalle imprese sono un argomento in più per dire che "piccolo" spesso non è bello: una piccola azienda spesso subisce il mercati e non li costruisce, incluso il mercato del lavoro. Spendono poco in formazione le piccole aziende, non pochi lavoratori autonomi, ma anche molti settori del pubblico impiego sia statale che locale». E' vero che talvolta salta fuori anche il bullismo dei bravi? Ragazzini (o anche ragazzine), in genere di famiglie immigrate, che dicono: tu ragazzo italiano puoi bighellonare perché tanto tuo padre ti sistemerà, io no perché mio padre non è in grado di farlo e dunque guai se provi a scocciarmi... «Sì, esiste - forse non ancora a Livorno ma in altre città sì - anche un bullismo dei ragazzi stranieri "bravi" o comunque motivati. Occhio, è cosa ben distinta da quello di altri stranieri come loro, che però si sentono e si collocano un po' ai margini del sistema scolastico. Semmai è da leggere in rapporto alla demotivazione dei loro coetanei italiani che immaginano di potersi arrangiare a trovare un futuro o comunque una fonte di introiti contando sulla famiglia, sulla nonna...». Cosa c'è allora che non funziona? «L'orizzonte di riferimento deve essere il mondo. Quello che preoccupa, non solo a Livorno ma in Italia, è che alla mobilità in uscita non sempre corrisponde una mobilità in entrata. Per semplificare parecchio: arrivano le badanti e vanno via i chirurghi e gli ingegneri. Produrre un capitale umano di qualità non è una questione che riguarda e interessa non solo le scuole ma la loro interazione con l'intera società». M.Z.
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