da La Stampa
5/12/2007 - INCHIESTA
La forza del lettore
Sorpresa: in Italia crescono i divoratori di libri. Ma anche quelli che non leggono nulla
MARIO BAUDINO
Il mondo del libro è minacciato da una forbice: sono passati più di vent’anni da quando fece scandalo l’inchiesta del sociologo Marino Livolsi, dal titolo Almeno un libro, che svelava come, in un Paese allora orgogliosissimo del quinto posto fra quelli più industrializzati, oltre metà della popolazione non leggesse neppure un libro l’anno: esattamente il 57%. Dall’86 la situazione non è così cambiata, ma in compenso succede qualcosa che potrebbe porre le basi per terremoti futuri: i lettori «forti», quelli che leggono molto, sono sempre più forti, mentre quelli deboli sono sempre più deboli. E ovviamente si legge sempre più al Nord e sempre meno al Sud, sempre più fra i «ricchi» e sempre meno fra i poveri.
La forbice si allarga pericolosamente, benché la somma di tutti gli elementi rimanga invariata: tra alti e bassi, e nonostante una leggera e costante crescita rilevata dall’Associazione italiana editori su dati Istat, nel 2006 i lettori di «almeno un libro l’anno» sono stati il 44,1 per cento degli italiani, ovvero un po’ più di 23 milioni, dai sei anni in su. Fatti i conti, viene fuori che i non lettori sono il 55,9 per cento, più o meno gli stessi di vent’anni fa. Ma c’è di peggio: secondo l’indagine biennale sulla lettura condotta dalla Mondadori, quest’anno i lettori sono precipitati addirittura al 38 per cento. Vanno esclusi dal conto i testi scolastici, e anche i cosiddetti «lettori morbidi», quelli cioè che affermano di non aver letto nulla ma poi, interrogati meglio, si ricordano d’aver sfogliato una guida turistica. Una volta specificato che l’elenco telefonico non può essere preso in considerazione neppure come prova di buona volontà, e che resta tuttavia una differenza fra questo dato e quelli forniti dall’Aie, il quadro che emerge dalle ricerche (un’altra verrà presentata domani proprio dall’Aie alla Fiera romana della piccola editoria, che si apre all’Eur col titolo «Più libri più liberi») è piuttosto sconfortante.
La tendenza generale conferma, rovesciato, lo slogan: meno libri, meno liberi. E pure fra gli ultimi in Europa. Non ci sono ancora dati sull’Unione a 25, ma quelli sui 15 membri «storici» dicono che nel 2005 nel Regno Unito la percentuale di lettori era al 73,5, in Germania al 66, in Francia al 61; per non parlare di posti come Svezia o Danimarca o Olanda, dove leggono come furie. Sono dati ben noti agli addetti ai lavori; insieme alla consapevolezza che, nonostante ciò, la nostra editoria ha volumi paragonabili ai maggiori partner europei, è vivacissima, ha conti economici positivi, si espande con acquisizioni all’estero. «Preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno, e francamente non credo molto a un crollo così drammatico - dice Stefano Mauri, amministratore delegato di Gems, la sigla sotto cui è stato riorganizzato il Gruppo Longanesi -. Do più credito ai leggeri incrementi segnalati dall’Istat. E soprattutto, trovo importante l’aumento, rilevato dall’Aie, nella fascia d’età fra i 25 e i 30 anni. Perché sono quelli che avevano 10 anni quando è nata la nuova editoria per ragazzi».
Tutti quei non lettori non sono dunque un problema, ma un’opportunità? «Se devo dar retta agli studi di Tullio De Mauro, il 40 per cento degli italiani è tecnicamente incapace di leggere un testo appena complesso. Ma per noi editori questa fascia di non lettori deve essere considerata un potenziale». Il mercato dei libri è del resto basato sull’offerta: più se ne propongono, più si spera di venderne. Ammesso che ci siano punti efficienti dove farlo. «Siamo l’unico Paese dove le catene di librerie appartengono agli editori. È un problema vero», conclude Mauri. Talmente importante che proprio i librai «indipendenti» sono i meno felici della situazione. Anzi, sono preoccupatissimi. «La distribuzione territoriale delle librerie penalizza il Sud: man mano che si scende, ce ne sono sempre di meno» dice Rodrigo Dias, presidente dell’Ali. Potrebbe aggiungere che nel 2006 l’area commerciale di Milano copriva da sola il 18,34 per cento del totale nazionale delle vendite in libreria (quella di Roma il 16,4).
Al Sud, però, i punti vendita sono aumentati; si è impennato il commercio via Internet, i supermercati offrono libri. «Però i lettori non crescono - replica Dias -. E non penso che il rimedio sia mandarli alla grande distribuzione, o in edicola. Guardi, a Napoli un supermercato di elettronica proponeva i libri col 48 per cento di sconto. I librai andavano a comprarli per poi rivenderli in libreria, o mandarli in resa all’editore. Le pare un sistema? Abbiamo la legge sul massimo sconto, ma bisognerebbe regolamentare le promozioni, se no è inutile». L’editoria prospera, la vecchia libreria tramonta e i lettori si assottigliano. Come paradosso non c’è male. Ma, paradosso nel paradosso, tutto questo accade anche perché in Italia resiste da sempre un’élite che tutto il mondo, diciamo così, ci invidia: qualche milione di lettori «forti» che comprano anche 20 libri l’anno e da soli tengono in piedi la baracca; affollano i festival letterari, la Fiera del libro di Torino e le infinite manifestazioni in giro per lo Stivale, fanno del nostro Paese, in apparenza, un paradiso della carta stampata. Non tradiscono mai. Ma fino a quando?