da Unità
Italia 2007: «Leggere? Uno spreco di tempo»
di Maria Serena Palieri
Chiede scusa, Gian Arturo Ferrari, direttore generale della Divisione Libri del Gruppo Mondadori, per l’ultimo blitz in edicola effettuato da un suo marchio: l’ultimo titolo di Stephen King, edito da Sperling & Kupfer, è in vendita in allegato a un quotidiano e un settimanale a un prezzo minore di quello con cui arriverà in libreria, e lì solo tra due mesi. «È stato uno sbaglio. E, come i bambini, aggiungo: non lo faremo più» replica a Rodrigo Dias, presidente dell’Associazione Librai Italiani, che ha buon gioco di denunciare l’assurdo. Il fatto è che l’edicola, ultimo avamposto del libro, non è riuscita affatto nella missione di aumentare, in Italia, i lettori. E il compito torna così agli avamposti classici, le librerie appunto.
Ieri, a Roma, Ferrari ha presentato l’indagine sulla lettura che, a cadenza biennale, il Gruppo commissiona all’Ipsos, istituto di sondaggi. Centonovantamila italiani mangiano pane e libri: ma questi lettori «fortissimi» (consumano dai venti volumi l’anno in su) invecchiano, muoiono e vengono solo in parte rimpiazzati. E, a specchio, ecco l’altra cifra: il 62% della popolazione italiana adulta non legge affatto, e più di un terzo di essa considera la lettura uno spreco di tempo, tempo da riempire con attività più lucrative o più «divertenti», un dato, questo, purtroppo in crescita. La «contro-indagine», nel 2003 e soprattutto nel 2005, aveva fornito a Ferrari lo spunto per tracciare un quadro dei consumi culturali nel nostro Paese più roseo di quanto in genere faccia, forte dei propri studi, l’associazione di categoria degli editori. Stavolta no. Siamo alla vigilia della Buchmesse, la fiera dove la nostra editoria sarà presente con gli stand di 350 marchi, testimonianza di un’industria che, per dimensioni, è la sesta al mondo. Ma, per paradosso, a industria forte corrisponde un pubblico debole: nel 2007 i lettori (chi in dodici mesi abbia letto almeno un libro non scolastico) sono calati di ben otto punti rispetto al 2005, dal 46% appunto al 38%. Il 2005 fu, certo, un anno euforico: a fare impennare l’indice, ricorda Ferrari, contribuirono da un lato il cosiddetto gigalibro, insomma il romanzo letto «da tutti», cioè il Codice da Vinci di Dan Brown, dall’altro il boom dei romanzi abbinati ai giornali. ma quel 38% di lettori costituisce un calo anche rispetto al 39% del 2003. Ferrari parla di un «allontanamento definitivo dalla lettura» di una fascia in crescita della popolazione. E dove si concentra il fenomeno? Al Sud, nella popolazione maschile, meno istruita e più povera.
Ma che fare per arginare l’emorragia? Ferrari osserva che la miriade di iniziative pro libro fiorite nella penisola portano acqua al mare: chi le frequenta è chi già legge. E per acchiappare gli altri? In stallo, per ora, il Centro del Libro istituito da Rutelli, ovvero il luogo dove potrebbero agire in sinergia Stato e privati (il sottosegretario Levi non ha buone notizie da dare e dunque, spiega, non dichiara). Un buon esempio, rileva Ferrari, viene da Roma: nella capitale gli acquirenti di libri sono cresciuti, dal 2003 a oggi, dal 25% al 35% della popolazione adulta, e, secondo Ferrari, c’è un nesso stretto con «la vivacità della vita culturale» (dal boss del gruppo di Berlusconi una volata a Veltroni sindaco...). La missione, comunque, è di respiro ampissimo: il 20% dei non lettori detesta i libri perché gli ricordano la scuola. E la scuola italiana quanto dovrà cambiare per diventare un «buon ricordo»?