Gli Immigrati Frequentino le Lezioni di Italiano

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Gli Immigrati Frequentino le Lezioni di Italiano

Messaggiodi edscuola » 17 novembre 2007, 6:44

da Il Corriere della Sera
17 novembre 2007

Gli Immigrati Frequentino le Lezioni di Italiano

«A Parma ci eravamo organizzati per avviare dei corsi di lingua italiana e di educazione civica per gli immigrati, destinando delle risorse adeguate. Avevamo ottenuto la disponibilità di docenti italiani anche su base volontaria. continua a pagina 42
«Ci eravamo consultati con le associazioni degli immigrati ottenendo l'impegno a cooperare per il successo dell'iniziativa. Abbiamo pubblicizzato il progetto per assicurarne la conoscenza tra la gente. Ebbene alla fine su circa 16 mila immigrati residenti a Parma, volete sapere in quanti si sono iscritti ai corsi? In cinque, solo cinque immigrati». Il vice-sindaco Paolo Buzzi racconta il fatto tra lo sguardo sconsolato del sindaco Pietro Vignali e il disincanto del direttore dell'Unione parmense degli industriali Cesare Azzali.
Alla fine dell'incontro, svoltosi nella sede del Comune lo scorso 26 ottobre, ci ritroviamo d'accordo che se la conoscenza della lingua italiana è da considerarsi uno strumento fondamentale per l'inserimento lavorativo e per l'integrazione sociale, il suo insegnamento non può essere concepito come una opzione facoltativa e che, all'opposto, dovrebbe essere affermata come un dovere per tutti coloro che risiedono stabilmente in Italia. Perché è l'esperienza stessa che attesta che se ci si rimette alla discrezionalità dell'immigrato, il risultato più probabile è che egli non si assumerà quest'impegno. Quest'atteggiamento mentale è ulteriormente favorito da un approccio diffuso tra le istituzioni statali, del governo e degli enti locali, a rincorrere gli immigrati mettendo a loro disposizione mediatori linguistici-culturali e facendo tradurre nelle loro lingue le comunicazioni loro concernenti, anche se si tratta di un onere finanziario esoso e con delle ricadute sociali serie, anziché vincolare gli immigrati a imparare l'italiano.
Sono perfettamente consapevole che in Italia ci sono dei corsi di insegnamento della lingua italiana per immigrati che funzionano, gestiti sia da enti locali sia da associazioni non governative laiche e religiose. Ma è il dato complessivo della partecipazione degli immigrati a questi corsi, comunque insufficienti, che resta assai problematico. E ciò succede proprio perché non esiste una strategia governativa che impegni l'immigrato a conoscere la nostra lingua. È vero che si stanziano dei fondi, assolutamente esigui, per la diffusione dell'italiano, ma è soprattutto vero che il tutto viene lasciato alla totale discrezione dell'immigrato.
Personalmente è grazie alla lingua italiana che arrivai in Italia nel lontano 1972 come immigrato per ragioni di studio. Perché devo alla passione che la lingua italiana ha suscitato in me sin dalla mia gioventù e al voto eccellente conseguito nel tema all'esame di maturità (incentrato sul pensiero di Herbert Marcuse, a riprova dell'influenza dei profeti del movimento contestatario del Sessantotto sui responsabili dell'ordinamento scolastico italiano), la concessione di una borsa di studio da parte del ministero degli Esteri che mi permise di partire dal Cairo — la mia città natale — per iscrivermi all'Università La Sapienza di Roma dove mi sono laureato in Sociologia. Ed ecco perché oggi mi sento in debito con il fascino della lingua italiana che mi ha conquistato, ha contribuito alla mia promozione umana e ha favorito il mio successo professionale, fino al punto da ritenere doveroso impegnarmi per difenderla dalla trascuratezza ufficiale all'insegna di un relativismo culturale che si sta trasformando in una morte preannunciata, una sorta di eutanasia non dichiarata della nostra lingua nazionale che coincide con il suicidio della nostra civiltà.
Proprio la mia esperienza personale mi porta al convincimento che lo Stato dovrebbe investire per mettere gli aspiranti immigrati a studiare la lingua e la cultura italiana nel loro Paese d'origine, in modo da arrivare in Italia con gli strumenti adeguati a iniziare il percorso di integrazione. Si tratta di mettere le scuole italiane e gli istituti di cultura italiani, laddove già esistono, nella condizione di poter operare come centri di formazione all'immigrazione e, se necessario, costruire delle strutture ad hoc. Così come fece nel 2000 monsignor Pietro Sigurani della Fondazione Migrantes, creando una scuola di formazione per immigrati a Douz e nella vicina Kebili, oltre 500 chilometri a sud di Tunisi. All'interno di due strutture messe a disposizione dal governo tunisino, 120 ragazzi tra i 19 e i 31 anni imparavano la nostra lingua e venivano introdotti alla cultura italiana. E dopo aver superato un esame presso il Consolato italiano di Tunisi che rilasciava loro un visto d'ingresso per l'Italia, venivano ospitati per sei mesi in una struttura messa a disposizione dal Comune di Roma per partecipare a un corso di avviamento professionale, prima di trovare un lavoro. Il progetto aveva come sponsor la Regione Lazio.
Questo medesimo approccio è oggi praticato da Olanda, Gran Bretagna e Francia. A tutti gli immigrati si richiede, come condizione per il rilascio del visto d'ingresso, la conoscenza della lingua nazionale. Loro ci sono arrivati dopo aver preso atto che, senza la condivisione della lingua e dei valori, gli stranieri si rinchiudono in ghetti e la società implode al suo interno con pericolose derive eversive e terroristiche. L'Italia, purtroppo, è già avviata su questo crinale. Dobbiamo proprio toccare il fondo prima di deciderci a fare anche noi una scelta improntata al buon senso che realizza il bene comune degli italiani e degli immigrati?

Allam
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