Uccidersi a quattordici anni perché ti chiamano secchione

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Uccidersi a quattordici anni perché ti chiamano secchione

Messaggiodi edscuola » 2 novembre 2007, 9:29

da Repubblica

Uccidersi a quattordici anni perché ti chiamano secchione
Ischia, era il primo della classe. La madre accusa la scuola
Marco Lodoli

La notizia del suicidio di un quattordicenne dà così tanta pena da rendere quasi impossibile una riflessione: soltanto immaginare i pensieri e i sentimenti che hanno portato quel bambino verso la morte getta in un abisso spaventoso, in fondo a un pozzo dove si può solo gridare di rabbia e di dolore. Pare che fosse il primo della classe, che avesse tutti nove.

E che per questo i compagni lo deridevano, lo tormentavano, lo escludevano. Pare sia questo il motivo del suicidio, anche se si fa fatica ad accettarlo.
Vicino casa mia c´è la parrocchia di Sant´Angela Merici, e ogni volta che ci passo davanti leggo una targa fissata sul muro: ricorda una visita di Giovanni Paolo II, ricorda la sua esortazione a tendere sempre alla santità. Non ad essere buoni, non ad essere bravi cristiani, ma essere santi. Quest´invito all´eccellenza mi dà sempre un brivido. Non importa se crediamo o meno in Dio, ciò che importa è quanto oggi crediamo al superamento dei nostri limiti, alla tensione verso il meglio, alla nostra possibile trasformazione in esseri nobili, valenti, impegnati a raggiungere la nostra vetta. Sembra che oggi in Italia questa spinta a raddoppiare o triplicare i propri naturali talenti sia dimenticata: si punta alla sufficienza, al sei esistenziale, alla linea di galleggiamento. Certo, la vita è dura, faticosissima, è già mantenersi a galla è un´impresa: manca il lavoro, mancano le prospettive, le speranze. Però è anche vero che ogni tentativo di dare di più, di uscire dalla palude tiepida e tranquilla è osteggiato. I ricercatori sono costretti a emigrare verso le università tedesche o americane, le menti più aperte e curiose devono andarsene, oppure accettare la mediocrità, la piccola raccomandazione, l´invito a non alzare troppo la cresta. E chi a scuola vuole dare il massimo, rischia di venire sbeffeggiato e messo nell´angolo. Darsi da fare è inutile, se non nocivo. In fondo la televisione è piena di gente che non sa fare nulla e ottiene primi piani, denari a manciate, popolarità. E la politica raccoglie tante mezzecalze che chiacchierano a vuoto e se la passano alla grande. Perché fare di più? Solo per umiliare i pigri, per sbattere in faccia agli inetti il proprio impegno? Attento, pigri e inetti sanno come vendicarsi, come ridicolizzare i tuoi sforzi.
Questa morte è atroce, ma può aiutarci a riconsiderare i valori di fondo della nostra società, a lavorare per un altro immaginario collettivo. Quel bambino finito così tragicamente deve essere un richiamo potente alla nostra coscienza, ricordare a tutti quanti che la vita ha un senso, ed è bella, solo se si dedica a quanto di meglio contiene e può esprimere: non dico alla santità o all´eccellenza assoluta, ma almeno a fare la propria parte fino in fondo, per non essere comparse scontente, rabbiose, ghignanti.
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