da Aprileonline
A scuola di promesse
Ne avevamo già parlato, ma le ultime esternazioni di Mariastella Gelmini, ministro della Pubblica Istruzione che, come ha ricordato il suo alleato Umberto Bossi, non ha mai insegnato un giorno in vita sua, ci costringono a tornare sull'argomento.
Nel corso di un'intervista radiofonica, infatti, il titolare del dicastero di Viale Trastevere torna su alcuni suoi cavalli di battaglia, già resi noti nel corso di questi primi mesi, e che già avevano suscitato più di qualche perplessità.
Volendo partire da indicazioni che possono suscitare una condivisione teorica di intenti, si può dire che ad esempio può essere buona l'idea di abolire le Scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (Ssis), obbligatorie da frequentare per quegli insegnanti precari di terza fascia intenzionati ad ottenere l'abilitazione. Corsi solitamente tenuti da docenti universitari (che così arrotondavano il già pingue stipendio da accademico), d seguire tre volte alla settimana per due anni, ai quali si accede pagando due rate da circa 2'000 euro l'anno: non proprio una somma facilmente a portata di un precario. Rimane da capire in che modo verranno sostituite queste scuole di specializzazione, che in pratica fungevano da selezione del corpo docente.
E sul problema del precariato, la Gelmini attacca il precedente governo. "In passato si sono fatte promesse che poi non sono state mantenute. I ragazzi (riferito ai precari) non hanno certezze di un percorso professionale. La sinistra - continua il ministro, evocando una categoria oramai a dir poco eterea, utilizzando il classico linguaggio del suo capo - ha continuamente creato precariato. Bisogna fare un'operazione di trasparenza, sono stati immessi solamente 25 mila insegnanti invece dei 150 mila previsti. Il numero delle immissioni diminuisce di anno in anno, a causa delle difficoltà economiche. Occorre rivedere le norme di reclutamento, che vanno cambiate con le parti sociali". E proprio qui si può dire che "casca l'asino".
Innanzi tutto perché, in merito ai soli 25 mila posti immessi dal governo Prodi, bisognerebbe precisare che i 150 mila posti totali previsti erano stati programmati gradualmente, nel corso dell'intera legislatura: che, come tutti sappiamo, è invece durata meno di due anni. Poi bisogna analizzare meglio il passaggio in cui il ministro parla di immissioni diminuite di anno in anno, "a causa delle difficoltà economiche". Forse la Gelmini non è stata messa al corrente dei tagli previsti alla scuola, all'università, alla ricerca? Forse non si è accorta degli oltre 150 mila posti di lavoro che verranno letteralmente spazzati via nel settore della pubblica istruzione?
Ecco perché parlare di "settimana corta"; di sette in condotta, di reintrodurre il grembiule per tutti, o ancora di responsabilizzazione delle famiglie, che spesso fungono come "sindacalisti dei loro figli" (in ton chiaramente spregiativo nei confronti del sindacato), sembra più che altre un espediente retorico per confondere le acque, e non arrivare al vero nocciolo del problema: vale a dire il fatto che, come ogni volta ha tentato di fare, anche stavolta il governo di centrodestra mette in ginocchio l'universo vario e articolato della formazione e dell'istruzione.
L'unico, forse, che in futuro prossimo potrebbe veramente sovvertire l'attuale ordine etico e culturale di questo paese.
Per ora, ridotto veramente ai minimi termini.