da Il Giornale
Una proposta (originale) per la scuola
di Ida Magli
«Tutto quello che non so, l'ho imparato a scuola». È una delle battute fulminanti di Longanesi, pronunciata diverse decine di anni fa, ma che ognuno di noi, vecchio o giovane che sia, riconosce immediatamente come vera. È così. Si esce dopo tanti anni dalla scuola senza «conoscere», nel senso tecnico del termine, senza padroneggiare, senza aver «fatto proprio» nulla di quello che si è studiato. Se ne accorgono bene i genitori (per non parlare dei nonni) quando vogliono aiutare i figli a fare i compiti, anche delle elementari. È sufficiente una domanda sulla superficie di un poligono o sul congiuntivo di un verbo a mandarli in tilt. Inutile cercare le colpe: non è colpa di nessuno. È passato il tempo, è cambiata la società, è cambiato il modo di vivere e la scuola è rimasta fuori dalla storia, fuori dalla realtà. Tanti ministri di buona volontà si sono succeduti, ognuno con la propria riforma, ma nessuno ha avuto il coraggio di una rivoluzione. Per questo il risultato è stato sempre quello che non poteva non essere: terapie su un cadavere.
Indico qui soltanto alcuni dei problemi fondamentali, con qualche suggerimento per riportare almeno a galla la nave affondata. Prima di tutto togliere l'obbligatorietà e mettere la scuola di stato sul mercato. Se una cosa è obbligatoria, è evidente che non può essere considerata né un diritto né un dovere. Quindi è odiata in quanto emanazione di un potere autoritario. Mettere la scuola sul mercato significa farla pagare, creando la famosa concorrenza di cui tanto oggi vengono lodati gli effetti e ridando alle famiglie la possibilità di scegliere quella che vogliono. Lo Stato ovviamente provvederà con borse di studio e esenzione dalle tasse ad aiutare gli allievi migliori intellettualmente, eliminando le graduatorie di qualsiasi altro genere. È assurdo pensare che tutti amino studiare, e soprattutto amino studiare al livello del quoziente intellettuale più basso, quale è inevitabilmente quello della scuola odierna. La nostra è una società che non sfugge alla crudeltà e all'ingiustizia: quando non le esercita verso i più poveri, lo fa verso i più dotati.
Le elementari possono rimanere così come sono fino alla terza, inserendovi però l'educazione fisica che è estremamente utile proprio negli anni dello sviluppo psicomotorio. Dalla quarta elementare in poi è indispensabile cambiare del tutto la tecnica dell'insegnamento. Per apprendere in profondità bisogna concentrarsi su poche materie, e soprattutto bisogna apprendere il metodo della costruzione del sapere, capire come hanno fatto gli uomini a capire e che cosa hanno capito, qual è la struttura del sapere. L'informazione superficiale oggi la si apprende nell'aria, attraverso l'informazione, la televisione, internet, i viaggi. Bisogna abbandonare l'apprendimento a spizzico di un po' di tutto, distribuito per tutto l'arco di tempo della scuola, e concentrare invece lo studio su due o tre discipline alla volta. Tutta la geografia insieme alla storia, alla storia dell'arte, alla storia della letteratura concentrate in due o tre anni. Poi sarà la volta della matematica, della fisica, della biologia, di una lingua in altri due o tre anni.
Arricchire l'insegnamento dei docenti con lezioni televisive preparate dai più famosi conoscitori di determinati argomenti; far leggere direttamente e per intero i testi di alcuni autori abolendo l'obbrobrio delle antologie. Gli edifici scolastici devono diventare luoghi dove i ragazzi «vivono»: mangiano, giocano, lavorano, eventualmente anche dormono. Dovrà essere presente, quindi, anche un personale ausiliario, non insegnante.
Per chi non ama lo studio teorico esistono tanti mestieri che possono essere molto più divertenti che non stare a sentire per diverse ore di seguito una persona che parla. In tutti i casi è indispensabile cercare di risolvere il problema della quasi totale mancanza di insegnanti di sesso maschile. Le conseguenze della femminilizzazione della scuola sono gravissime: perdita di prestigio e di autorità sia davanti agli alunni che come professione; impossibilità per gli studenti maschi di trovare nell'insegnante un riscontro psicologico e un qualche modello di comportamento; carenza di profondità metodologica nell'insegnamento della fisica e della matematica, discipline alle quali le donne (almeno fino ad oggi) risultano poco portate.
Aumentare gli stipendi, come si propone di fare il ministro Gelmini, è senza dubbio una buona cosa, ma non servirà da sola a far tornare i maschi nelle scuole, almeno fino a quando non si sarà tolto all'insegnamento l'attuale immagine negativa vice-materna e priva di potere. Un primo passo, però, può darsi che consista proprio nella creazione di un mercato con scuole di eccellenza, specializzate in determinati insegnamenti. Il conseguente sfoltimento del numero degli studenti, con l'eliminazione della scuola di massa, farà alzare l'immagine sociale dell'insegnante, cosa anch'essa indispensabile per attirare qualche docente di sesso maschile. Infine, la redistribuzione dei docenti in esubero in altri incarichi, quali, per esempio, le biblioteche e i musei, attualmente molto poveri di personale, servirà a fornire di un carattere generalmente culturale e non più esclusivamente scolastico gli insegnanti, cosa positiva per tutti.
Ida Magli