da Aprile on line
Gelmini, dietro i toni miti
Alba Sasso
Certo, l'intervento alla Camera dei deputati del ministro Gelmini appare improntato a un certo garbo, niente a che vedere col "punto e a capo" di Letizia Moratti. Ma temo che le analisi e soprattutto le proposte non si discostino molto da quelle avanzate nel quinquennio 2001/2006.
1. La fotografia dell'esistente. L'intervento cita in primo luogo i dati Ocse ( "i ragazzi italiani sono tra i più impreparati d'Europa"). Si parla anche dei dati Pirls Iea che ci dicono che da piccoli (sono dati relativi alla fascia di età dei nove anni) i ragazzi italiani non se la cavano poi così male. Forse se la relazione del Ministro fosse stata arricchita dalla consultazione di quel Quaderno bianco sull'istruzione- settembre 2007-, prezioso lavoro realizzato nella scorsa legislatura dal Ministero dell'economia e finanze e dal Ministero della pubblica istruzione, se ne poteva trarre qualche idea in più sul da fare.
In quel quaderno si sottolinea non solo la differenza dei risultati tra nord e sud d'Italia, ma anche la differenza tra le singole scuole (anche di uno stesso indirizzo) che rivela "un sistema poco equo, dove è accentuata la concentrazione degli studenti con situazione socioeconomica meno favorevole e la connessa segmentazione delle scuole secondo la qualità." In altri tempi si sarebbero chiamate scuole ghetto, ma non sarebbe elegante dato l'ovattato clima generale. Ma valorizzare il merito non significa garantire a tutte e tutti pari opportunità o meglio mettere tutte e tutti in grado di gareggiare? Che ne avrebbe detto Abravanel, citato dal ministro?
2. La formazione permanente. Sempre nel quaderno bianco si rileva che al Sud dove i risultati dei ragazzi sono peggiori "rimane assai elevato il grado di analfabetismo funzionale della popolazione adulta... e si conclude che "forti sono le ripercussioni negative di questo fenomeno anche sulla qualità e quantità di istruzione dei figli". Dispiace allora non trovare nella relazione del Ministro nessun impegno a favorire e sviluppare sempre di più una rete di educazione per gli adulti (la partecipazione degli adulti all'apprendimento permanente è solo del 7% in ogni area del Paese).
E appare davvero singolare che in questa fotografia non ci sia lo sfondo: quello di un Paese dove cresce quell'illetteratismo (adulti che, pur avendo alle spalle un lungo percorso di studio, padroneggiano male le competenze di base: leggere , scrivere, far di conto) di cui ormai tutto il mondo si preoccupa, dalla Francia agli Stati Uniti, alla civile Svizzera. Di fronte all'enormità della questione basta quello scatto di orgoglio nazionale di cui il Ministro parla o ci sono scelte precise da compiere?
3. Obbligo d'istruzione e dispersione scolastica. "L'indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione" dice il Ministro. Certo elevare l'obbligo di istruzione è stata ed è una sfida per la scuola: deve significare ripensare all'intero percorso curricolare dai tre ai sedici anni. Deve significare cambiare profondamente la scuola secondaria, il suo sapere, la sua organizzazione, il suo rapporto con la cultura e il lavoro. Ma di questo non c'è traccia nell'intervento del Ministro tranne una dichiarazione generica (pari dignità a ogni indirizzo della scuola superiore). Piuttosto la ricetta pare quella di sempre: l'obbligo d'istruzione, ma solo per alcuni, nella formazione professionale. Che anch'essa registra dati preoccupanti di uscita dal sistema. Infine nessun accenno alla scuola dell'infanzia, luogo fondamentale per la lotta alla dispersione.
4. Gli insegnanti motori del cambiamento. Belle parole quelle sugli insegnanti. "Sono pagati poco, continua quel patto tra stato e insegnanti all'insegna del ti pago poco e ti chiedo poco. Ci sono delle straordinarie eccellenze, e così via." Il ministro sostiene che "in questa legislatura bisogna adeguare gli stipendi degli insegnanti alla media dell'Ocse " Certo, si lascia intendere che per pagare di più gli insegnanti occorrerà limitarne il numero. Già peraltro ampiamente ridotto negli scorsi anni. Altro che scuola come ammortizzatore sociale! E anche su questo tema il quaderno bianco ha dimostrato che gli insegnanti italiani non sono troppi rispetto a quelli europei, data la peculiarità del sistema italiano.
Mi piacerebbe che si chiarisse allora se si continuerà a tagliare sulle esperienze di qualità: dal tempo pieno, all'integrazione dei soggetti con disabilità (relegati in poche righe dell'intero testo), ai mediatori culturali e così via. Mi piacerebbe che si chiarisse se si andrà o no, come suggerisce appunto il quaderno bianco, alla definizione dell'organico funzionale (quei docenti che permettono l'organizzazione e la gestione dell'autonomia scolastica). Perché in assenza di questo si torna a un'idea di autonomia solo come managerialità dei dirigenti scolastici.
5. Formazione e reclutamento. E infine mi piacerebbe che si chiarissero le intenzioni rispetto alle politiche sulla formazione e sul reclutamento.
Tace il Ministro sul disegno di legge presentato dalla presidente della commissione Valentina Aprea sul reclutamento e sullo stato giuridico degli insegnanti e solo in altra parte del testo lascia intendere che attuerà i decreti della legge Moratti tra cui appunto quello sulla formazione e reclutamento insegnanti. Aleggia, non esplicitato il tema della chiamata diretta degli insegnanti da parte delle scuole. In tutto l'intervento colpisce il silenzio assordante sul piano triennale di immissioni in ruolo dei precari. Scomparsi, cancellati. Loro, le loro speranze e le loro famiglie. E suona perciò un po' grottesco l'impegno del Ministro ad avviare soluzioni condivise.
E mi chiedo se nelle cause dell'iniquità del sistema ( mediocre nell'erogazione dei compensi...) di cui parla Gelmini non ci sia anche la sua resa, come già nei governi precedenti, al "contenimento della spesa nel settore scuola, perché i conti dello Stato e la situazione internazionale lo impongono".
6. Sussidiarietà e sistema scuola. Ma il tema profondo che percorre l'intera relazione del Ministro è che la scuola è un servizio a domanda individuale , anche il tema della parità viene declinato con grande perentorietà in questo senso. "Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo è la risposta alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino". Mi pare che in questo modo si metta in discussione con assoluta leggerezza un principio costituzionale. Quello dell'art.33: La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Analoga richiesta fu fatta da Giovanni Paolo II in occasione delle elezioni del 2001 quando invitava a risolvere i problemi relativi alla parità scolastica, disoccupazione, ecc. "superando vecchie concezioni statalistiche per procedere alla luce del principio di sussidiarietà" (Corriere della Sera, 18 maggio 2001).
Non propone riforme il ministro Gelmini, ne farà il meno possibile, assicura, le faranno per lei Tremonti e Berlusconi. Il Ministro guarda invece alle soluzioni regionali, come quella lombarda, di buono scuola che oltretutto, sostiene, farebbe risparmiare soldi allo Stato. Nello sfondo, minaccioso quel federalismo fiscale che metterebbe in discussione proprio i profili nazionali del sistema scolastico e del sistema sanitario. La sostanza di tutto il discorso mi sembra questa. La destrutturazione del sistema pubblico nascosta, e nemmeno tanto, da annunci senza indicazioni, nemmeno di massima, su come realizzarli: soldi agli insegnanti, merito, autonomia, valutazione e così via.
Insomma la mitezza dei toni non impedisce di cogliere il rilancio da parte della Gelmini di un modello di organizzazione del sistema formativo caro alla destra italiana. Apertura più forte al trasferimento di risorse all'istruzione privata, magari attraverso la mediazione di leggi regionali; più marcata differenziazione dei percorsi per sgombrare la strada verso la formazione di isole di eccellenza dal peso dell'istruzione superiore aperta a tutti; contenimento del numero degli insegnanti, emarginazione delle esperienze di qualità, integrazione, tempo pieno e così via. Un percorso così orientato, in una situazione di evidente affanno del sistema scolastico italiano, che avrebbe bisogno di una forte iniezione riformatrice rischia se non contrastata di aggravare la malattia e di produrre danni di lungo periodo. Ai singoli e al Paese.