da Unità
La stella Gelmini, trentacinque anni per spegnere la luce alla scuola pubblica
di Marina Boscaino
Mariastella Gelmini, forzitaliota doc, cattolica oltranzista, potrebbe essere il futuro ministro dell’Istruzione (speriamo - ma non ne siamo certi - pubblica).
La cautela è d’obbligo: la Gelmini - trentacinquenne - è avvocato. Assessore al territorio della Provincia di Brescia, consigliera regionale e immediatamente dopo coordinatrice regionale di Forza Italia, la Gelmini viene eletta alla Camera nel 2006. Un pedegree di tutto rispetto; compreso il culto della personalità del Grande Capo (era lì, adorante, il 18 novembre dello scorso anno, quando da un predellino di una macchina parcheggiata a Milano nasceva un partito), che nelle seguaci non manca mai. Di Berlusconi parlava così, in un’intervista al «Giornale» di qualche tempo fa: «Ha carisma, libera in noi energie positive, tira fuori la parte migliore, suscita idee nuove. Dice che bisogna alzarsi al mattino con il sole in tasca. Ai giovani piace la sua idea che la politica sia una cosa a tempo. Si fa se c’è entusiasmo, finché si è utili. Il contrario del politicante di professione». Spregiudicatezza, dinamismo, "modernità", freschezza: è questo che l’elettorato italiano apprezza, come dimostra - più o meno ininterrottamente - dal 1994. Atteggiamenti rincorsi affannosamente per tentare di ingaggiare un confronto impari sin dalla partenza. Che ha portato - nella generalizzata mancanza di progetto politico - alla pesante sconfitta elettorale.
La scuola rischia. È vero che siamo abituati da tempo al fatto che per occupare la poltrona di viale Trastevere non occorre titolo specifico, se non il fatto di averla frequentata, la scuola. E siamo anche abituati al fatto che l’ostinazione a non considerare la carica di ministro di un settore delicato come quello dell’istruzione vincolata a competenze e sensibilità specifiche sia un errore che nelle ultime due legislature è stato pagato a caro prezzo. Ma qui c’è di più. Il cursus honorum della Gelmini tradisce almeno elementi determinanti, che fanno presagire guai grossi per la scuola pubblica, qualora le previsioni dovessero avverarsi. Innanzitutto il suo essere "lumbard", senza se e senza ma. Strenua fautrice del federalismo fiscale, sostenitrice entusiasta di Roberto Formigoni: è appena il caso di ricordare come Formigoni stesso sia stato in grado di ammettere - usando la riforma del Titolo V della Costituzione - il doppio canale (sistema di istruzione vs sistema di formazione professionale) in Lombardia, avvalendosi dell’autonomia regionale nel campo dell’istruzione. Il fatto che la Gelmini abbia presentato il 5 febbraio scorso una proposta di legge che si pone come primo obiettivo «L’attuazione concreta nella società italiana del principio del merito» è la cosa che preoccupa di più.
Protagonista principale, la scuola. I punti essenziali di questo, che si preannuncia come un assedio arrembante al sistema scolastico statale, sono riassunti nella scheda qui sotto. Quello che preoccupa, soprattutto, è l’assoluta miopia nel continuare ad ignorare una serie di elementi fondamentali, che rendono - come dimostrano i tanto sbandierati dati Ocse Pisa, mai letti con la necessaria attenzione - il sistema scolastico italiano tanto disomogeneo. Innanzitutto la mancanza di analisi rispetto alle differenti realtà locali, ai territori, alle regioni. Prevedere un sistema di valutazione che individui standard di prestazioni è già impresa estremamente difficile. Considerare poi che questi standard possano essere sovrapponibili a tutte le realtà, non tenendo conto delle differentissime condizioni di partenza, delle strutture, della composizione del territorio è miope o in malafede; perché propone implicitamente la peggiore delle discriminazioni: quella su base socio-culturale. La chiamata nominativa dei docenti, sostituita alla chiamata per graduatoria pubblica, significa virtualmente sostituire alla garanzia di pari opportunità di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori un criterio lobbystico e clientelare, quando non improntato alla necessità di consacrazione di un pensiero unico. La concorrenza nella scuola ha già creato danni e disfunzioni sufficienti, imponendo di concentrare l’attenzione su elementi più o meno fittizi che con la qualità dell’insegnamento e la capacità di costruire cittadini consapevoli e autonomi non hanno nulla a che fare.
Non saranno certamente la reintroduzione dell’esame di riparazione o l’aumento di selettività dei meccanismi di avanzamento scolastico a risollevare la scuola italiana dall’impasse culturale e formativa nella quale sta da anni scivolando.
La strada individuata dalla Gelmini (qualora dovesse essere lei il nuovo ministro) scatenerà l’applauso di opinionisti-accademici, le cui lobbies consolidate garantiscono incursioni spregiudicate in campi di cui non conoscono la complessità. Applicando a quei campi criteri manageriali. Ma, ne sono certa, non del mondo della scuola. Non è di un interventismo decisionista ed efficientista, acritico e mercantilistico di cui la scuola italiana ha bisogno.