Dante e la Divina Letteratura un successo lungo 700 anni

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Dante e la Divina Letteratura un successo lungo 700 anni

Messaggiodi edscuola » 16 ottobre 2007, 6:32

da LaRepubblica

Comincia nel Trecento la pratica delle letture sulle piazze delle città
Un commento pubblico fu affidato a Boccaccio dal comune di Firenze

Dante e la Divina Letteratura un successo lungo 700 anni

di GIUSEPPE LEONELLI


Il culto di Dante ha inizio nell'età a lui contemporanea, allorché il poeta fu esaltato per dottrina, sapienza e dirittura morale. Ne fa fede il rapido diffondersi di copie manoscritte della Commedia, di commenti e di poemi allegorico-didattici.

Comincia nel Trecento anche una pratica di pubbliche letture sulle piazze delle città d'Italia, che tuttora dura con il grande successo popolare di Roberto Benigni. Nell'ottobre 1373 il Boccaccio, autore di un commento ai primi XVII canti dell'Inferno e del Trattatello in laude di Dante, in cui Dante, erede dei grandi classici, assurge a simbolo stesso della poesia, fu incaricato dal comune di Firenze di commentare pubblicamente la Commedia.

Fra le curiosità del Trattatello riscontriamo la svalutazione della componente politica della personalità dantesca, intesa come impropria per il vero sapiente, e l'interrogativo sul perché un'opera così ricca di scienza fosse stata scritta in volgare e non in latino. Comincia ad affacciarsi un pregiudizio umanistico: Petrarca, pur non mancando di imitare Dante nei Trionfi, non amava la Commedia. È un atteggiamento che avrà conferma fra gli umanisti fiorentini: Leonardo Bruni dovè difendere l'uso del volgare nella Commedia sottolineando come "ciascuna lingua ha sua perfezione e suo suono e suo parlare limato e scientifico".

Man mano che nella seconda metà del Quattrocento la letteratura in volgare ritorna in auge e nascono nuovi capolavori. Dante, Petrarca, Boccaccio ritrovano la loro dignità e compongono un trittico luminoso cui ispirarsi. Luigi Pulci, nel calderone ribollente del Morgante, ne fa ingredienti fondamentali della sua vis comica e burlesca, con particolare attenzione per la Commedia. Il poema influenza anche alcune delle opere di Lorenzo il Magnifico, informandole dello splendido dono d'icasticità dell'occhio dantesco.

Nel 1525, con la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, la fortuna di Dante subì una battuta d'arresto memorabile e quasi fatale: la Commedia fu proscritta in nome del "decoro" e dell'eleganza formale. Bembo concedeva che Dante fosse "grande e magnifico poeta", ma, rispetto all'eleganza di Petrarca, l'accusava di aver usato una lingua mescidata, piena di parole latine o straniere, vecchie, brutte, non poche delle quali formate ex novo "senza alcuna scielta e regola".

La Commedia era paragonata a un vasto e ricco campo di grano "che sia tutto d'avene e di logli e d'erbe sterili e dannose mescolate". Il petrarchismo ne riceveva una consacrazione definitiva, quasi militante. La lingua e pressoché la materia stessa della poesia italiana sarebbero state per secoli determinate dall'imitazione petrarchesca. In pieno Cinquecento, solo a Michelangelo riuscì di orchestrare un proprio privatissimo "senso delle cose" (Contini), amalgamando e stemperando nella propria poesia la sublime medietas del Petrarca con il realismo di tradizione dantesca.

Nel Seicento la fortuna di Dante raggiunge il suo punto più basso: nel periodo dal 1596 al 1702 si ebbero solo tre edizioni della Commedia e nessun commento. Con il Settecento, inizialmente, le cose non cambiarono molto. Lo spirito di reazione antibarocca cercava il recupero di una norma classicistica nel Petrarca piuttosto che in Dante. Si distinse, tra i detrattori, il Bettinelli delle Lettere Virgiliane (1757), vero e proprio pamphlet contro la Commedia, poema del quale, sulle orme di Voltaire, si potevano salvare al massimo un centinaio di versi.

La difesa di Dante, nello scritto omonimo, fu assunta nell'occasione da Gasparo Gozzi. Erano però ormai in circolazione le pagine scritte da Giambattista Vico nella Scienza nuova e nel Giudizio su Dante. Vico, inaugurando quello che sarà il concetto romantico della poesia, celebra Dante come uno dei geni primitivi dell'umanità, accostabile ad Omero, considerandolo quasi una forza della natura, che esprime violente emozioni in una lingua genuina e vigorosa. A Vico fa eco l'Alfieri, che, identificandosi con Dante, esalta in lui la capacità di "altamente pensare e di robustissimamente scrivere", mentre lettori attenti della Commedia sono, a fine secolo, Parini e, soprattutto Monti. Il dantismo, ancorché "ingentilito", della Bassvilliana e della Mascheroniana segna, dopo i riecheggiamenti del Varano nelle Visioni, la prima decisa ripresa di motivi e forme dantesche nella nostra poesia.

L'onda rivoluzionaria che percuote l'Italia dopo la Rivoluzione francese esalta il senso di una ritrovata missione nazionale e civile del poeta, propiziando l'interesse per l'opera di Dante. Dopo il 1815, con il tramonto del neoclassicismo, la nuova cultura romantica percorre l'Europa e l'Italia. È il momento del Foscolo, il quale, nella Notizia intorno a Didimo chierico aveva paragonato Dante "a un gran lago circondato di burroni e di selve sotto un cielo oscurissimo, sul quale si poteva andare a vela in burrasca", da cui Petrarca avrebbe derivato "canali tranquilli ed ombrosi", di cui molti "ormai torbidi e fatti gore stagnanti". Il paragone si sviluppa, negli anni dell'esilio inglese, nel Parallelo fra Dante e Petrarca e in altri scritti che fondano il moderno dantismo.

Rinasce in Italia il fervore d'interessi intorno al mondo storico della Commedia e fioriscono per tutto il secolo nuovi commenti, mentre la canzone di Leopardi Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze, del 1818, costituisce, fin dal titolo, la ripresa della celebrazione monumentale di Dante, quasi un presagio di quella che sarà imponente nel centenario del 1865, all'indomani della proclamazione dell'unità d'Italia.

Nell'occasione, uscirono due volumi di un'importante miscellanea di studi intitolata Dante e il suo secolo: tra i collaboratori, Tommaseo, già autore di un commento alla Divina Commedia, e il giovane Carducci. Si trattava di un contributo a stampa quasi incredibile per le condizioni degli studi e della scuola in un paese di così recente formazione. Fra le curiosità dell'evento, una massa ingente di poesie dedicate a Dante, che giunsero a riempire ben quindici volumi. È stato notato che solo la battaglia di Lepanto "può vantare una più imponente celebrazione poetica" (Dionisotti).

Accanto agli studi seri, che avrebbero di lì a poco toccato l'eccellenza con Francesco De Sanctis, comincia un culto di Dante in formato Italietta, che si esprime in retorica, monumenti e conio di monete e che, nel 1921, in occasione del centenario della morte del poeta, rischierà di invischiarsi, in un momento difficile per il paese, nel nazionalismo fascista.

Nello stesso anno, Croce pubblicò La poesia di Dante, in cui distingue nella Commedia la poesia vera e propria dalla struttura. Fra le valenze di questo libro, che avrebbe suscitato molte discussioni, influenzando tutta la critica del Novecento, un segnale in codice, che poteva avere in quel momento un senso civile e politico: lo studio di Dante andava sottratto ad ogni altro interesse che non fosse la pura flagranza del testo.

A compensare l'ancora scarsa presenza del poeta nel laboratorio della nostra poesia, erano intanto uscite nel 1891 le Myricae del Pascoli, con le quali comincia in Italia una grande rivoluzione poetica, riconducibile a quella "confusione degli stili" tipica, secondo Auerbach, della Commedia e, in seguito, della letteratura moderna. Nasce la poesia italiana del Novecento, poesia dalle molte voci, come quella di Dante.
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