da ScuolaOggi
La scuola e le elezioni
Fabrizio Dacrema
Ha ragione chi sostiene che in questa campagna elettorale si parla poco di scuola. Il tema non è enfatizzato da nessuna forza politica, né è oggetto di radicali contrapposizioni. Ben venga l’understatement e il pragmatismo, ma la sottovalutazione no, quella è inaccettabile.
Purtroppo l’impressione che si ricava dalla lettura dei programmi e dalla campagna elettorale, almeno fin qui, è che la scuola sia considerata come un punto qualunque fra gli altri. Invece così non può essere, almeno per quelle forze politiche che sono convinte che, per tornare a crescere, il nostro paese non deve abbassare ulteriormente i salari e aumentare la precarizzazione, come fece Berlusconi, né puntare sulle chiusure protezionistiche di Tremonti. Per le forze politiche convinte che per competere nell’economia globale l’Italia deve restare in Europa e promuovere l’economia della conoscenza, formazione e ricerca non possono essere considerate un tema tra gli altri, ma la questione centrale del programma.
Le forze politiche di centro sinistra devono, quindi, dare centralità alle politiche formative, altrimenti l’insieme della proposta politica perde di credibilità.
Per superare il deficit formativo italiano occorrono politiche che promuovano contemporaneamente inclusione e qualità. Non sarebbero, infatti, utili quegli interventi di lotta alla dispersione che abbassassero ulteriormente i livelli di apprendimento medi, né la promozione dell’eccellenza riservata all’utenza forte.
Quest’ultima prospettiva è avanzata dalla destra e dai centristi che promettono buoni scuola e concorrenza tra le scuole in modo da permettere ai ceti medio alti la possibilità di aggiungere risorse proprie al buono scuola al fine di scegliere scuole di eccellenza. Una proposta coerente con il darwinismo sociale della destra e con la mai sopita aspirazione cattolico-integralista di diffondere scuole di appartenenza ideologico-religiosa. Una proposta che ritiene che l’Italia sia ormai fuori gioco rispetto alla competizione nell’economia della conoscenza che invece esige l’innalzamento complessivo del capitale umano.
Altrettanto rinunciataria è la prospettiva delineata dalla sinistra corporativa che si limita a tentare di ottenere il massimo consenso possibile dagli insegnanti prospettando solo espansione dell’offerta formativa pubblica, più soldi e più organici per la scuola pubblica come soluzione di tutti i suoi mali.
Realizzare una scuola più inclusiva e al tempo stesso più qualificata è, invece, la scelta più difficile ma l’unica utile se si ritiene che nell’economia globale l’Italia possa competere solo se produce più conoscenza e più innovazione e se si è convinti che per contrastare il degrado populista della nostra democrazia sia indispensabile innalzare i livelli di istruzione di tutti i cittadini (non dimentichiamo che Forza Italia nelle procedenti elezioni, con il 71% degli elettori in possesso solo della licenza elementare o media, è stato il partito italiano più votato da chi ha i più bassi livelli di istruzione).
È una scelta che impone coerenza nelle scelte e anche il coraggio di dire al mondo della scuola che deve cambiare se vuole valorizzare la proprie professionalità.
I programmi che circolano, come si è già notato, non hanno queste caratteristiche.
Il programma del partito democratico elenca una serie di proposte dove c’è l’inclusione “ma anche” (ovviamente) la qualità, anche se manca il nesso forte con le politiche di sviluppo sociale ed economico. È tuttavia innegabile che il partito democratico ha avuto il grande merito di porre al centro di questa campagna elettorale la necessità di realizzare un sistema politico capace di assumere decisioni utili al paese. Non con le chiacchere e le promesse ma con scelte e comportamenti che hanno decisamente innovato il teatro politico italiano. Questo non è secondario perché sempre più nella politica i comportamenti contano più dei programmi, a scuola si direbbe che il curricolo implicito conta più di quello esplicito. Questa svolta è decisiva per la scuola se è vero che più di altri settori ha sofferto l’immobilismo causato dall’incapacità della politica di decidere e di fare scelte di respiro superiore alla durata di una legislatura (ad essere ottimisti). Niente più delle scelte e degli investimenti nella formazione e nella ricerca hanno redditività economica e politica differenziata, se non si lavora in tempi lunghi e su più legislature non si ottengono risultati.
Per questa ragione il mondo della scuola e del lavoro deve sostenere questa innovazione politica per superare la logica dei veti e degli azzeramenti che hanno impedito la modernizzazione del nostro sistema formativo. Nei confronti delle debolezze programmatiche di questa campagna elettorale occorre mettere in campo l’iniziativa delle forze sociali e professionali per sostenere i cambiamenti necessari alla qualificazione della scuola pubblica.
Solo qualche annotazione nel merito sulle scelte da considerare prioritarie.
Le riforme fatte dal Governo Prodi non devono finire in un cono d’ombra, non dimentichiamoci che con l’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni e la riforma dell’istruzione tecnica e professionale è stato rovesciato il modello Moratti. Queste riforme vanno difese e sviluppate, superando i ritardi e le sottovalutazioni della prima applicazione.
L’autonomia scolastica deve essere rilanciata lungo l’asse di una maggiore autonomia progettuale delle scuole cui far corrispondere una seria e diffusa valutazione dei risultati. Su questo punto la convergenza è ampia, il problema è come utilizzare i risultati della valutazione: non per spingere le scuole a concorrere l’una contro l’altra, ma per sollecitare interventi compensativi nei confronti delle scuole in difficoltà e per incentivare quelle che ottengono migliori risultati. Le risorse premianti attribuite alle scuole devono anche valorizzare la contrattazione decentrata e di istituto per realizzare circoli virtuosi tra aumento delle retribuzioni/impegno professionale/nuovi modelli di organizzazione didattica. Inoltre il contratto nazionale può prevedere carriere professionali, legate allo sviluppo delle competenze professionali individuali, in alternativa all’attuale progressione per sola anzianità.
Investire massicciamente nell’espansione dei servizi educativi per l’infanzia, anche attraverso il potenziamento quantitativo e qualitativo delle sezioni primavera, e nella generalizzazione della scuola dell’infanzia è determinante, oltre che per prevenire la dispersione e rafforzare il successo scolastico di tutti, anche per fronteggiare la questione salariale e aumentare la bassa partecipazione delle donne italiane al lavoro.
Lo stesso vale per la formazione degli adulti, in considerazione dell’influenza della grande influenza dei livelli culturali degli adulti sul successo formativo dei giovani e del ruolo determinante della formazione permanente per l’occupabilità e l’invecchiamento attivo. Una legge per l’apprendimento permanente, presentata con ritardo dal Governo Prodi e per questo decaduta, è indispensabile per offrire una visione complessiva ai singoli provvedimenti e ai diversi processi di innovazione da promuovere
Infine, naturalmente, le risorse: spendere di più e spendere meglio.
Si tratta di programmare un piano pluriennale di investimenti nei settori della formazione e della ricerca per raggiungere nell’arco della prossima legislatura almeno l’allineamento della spesa italiana alla meda Ocse. Per una migliore allocazione delle risorse occorrono riforme e decentramento decisionale della programmazione dell’offerta formativa. Le riforme per superare l’attuale frammentazione degli indirizzi, la dilatazione degli orari scolastici di alcuni settori della superiore, la rigidità dell’organizzazione scolastica. L’attribuzione alle Regioni e agli Enti Locali della programmazione dell’offerta formativa, conseguente alla piena attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, per promuovere nei territori responsabilità e convenienze nella migliore allocazione delle risorse professionali e finanziarie.