da Tecnica della Scuola
Istat: per l’istruzione gli italiani spendono davvero poco
di Alessandro Giuliani
Ogni famiglia investe in formazione solo 28 euro al mese: rispetto a due anni prima l'incremento è di 4 euro, però solo per i tabacchi escono meno soldi. Colpa anche del diverso sostegno delle istituzioni: col risultato che in Basilicata si spende più di tre volte che in Campania.
Che gli italiani spendessero poco per l’istruzione dei loro figli non è una novità. Fa un certo effetto però sapere che qualsiasi altra attività o interesse comporta maggiori oneri. Solo per i tabacchi si spende meno. Magra consolazione, visto che a fumare (fortunatamente) sono in media la metà dei cittadini. Mentre la formazione dovrebbe rappresentare un obiettivo comune a tutti e a tutte le età (da qualche tempo del resto si parla tanto di istruzione permanente).
La teoria però è un conto. La pratica è un altro. Così all’Istat risulta, attraverso un recente report sui consumi delle famiglie, che la famiglia media italiana (quella composta di genitori ed un figlio) spende nel 2011 ha speso appena 28 euro al mese (peraltro anche in ascesa visto che due anni prima era solo di 24 euro). L’unica voce per la quale si spende meno, come abbiamo detto, è quella dei tabacchi: ferma dal 2009 a 21 euro ogni 30 giorni.
Per tutto il resto, l’impegno economico delle famiglie è maggiore. Anche di molto: per comunicare (via telefono, cellulare, internet, ecc.) vanno via ad esempio 47 euro al mese; per il tempo libero e la cultura poco più di 100; per l’abbigliamento e le calzature 134 euro; per i trasporti addirittura 354 (due anni prima 336). Fino al top dell’abitazione, per la quale tra affitto o mutuo più le spese condominiali, le utenze e l’eventuale manutenzione vanno via ben 711 euro al mese.
Ecco che allora quei 28 euro per l’istruzione (pari all’1,1% di spesa rispetto a quella totale) “stonano” ancora di più. Se poi consideriamo che in alcune regioni l’impegno a nucleo familiare è ancora più ridotto, addirittura di tre volte, c’è allora davvero da preoccuparsi. Come parziale motivazione alla base di certi squilibri, ci sono però anche responsabilità da parte delle istituzioni. A tal proposito, sempre l’Istat ci dice, infatti, che rispetto al totale della spesa media mensile “la diversa propensione alla spesa per istruzione e per sanità è legata non solo alla maggiore presenza, nel primo caso, di bambini e ragazzi in età scolare e, nel secondo, di anziani, ma anche alla diversa compartecipazione delle istituzioni locali alla spesa sostenuta dalle famiglie. Per quanto riguarda l’istruzione, la quota di spesa varia da un massimo del 2,0% in Basilicata ad un minimo dello 0,6% in Campania”. Modesto è anche l’investimento delle famiglie umbre e siciliane (0,8%), ma anche quelle della Liguria, del Lazio e della Calabria (0,9%).
Scorrendo le tabelle dell’Istat ci sono anche altri dati, probabilmente secondari ma sicuramente altrettanto interessanti. Come quello che riguarda l’innalzamento sensibile della spesa per l’istruzione all’aumentare della mole del nucleo familiare: tra le famiglie di cinque o più componenti, l’incidenza delle spese affrontate per istruzione cambia molto: si va dal 2,2% contro 0,4% di spesa affrontate delle famiglie mononucleari.
Naturalmente, anche lo stato professionale della famiglia ha la sua incidenza sulla formazione dei suoi componenti: si va dal 4,1% di spesa affrontata da quelle con i capi-famiglia che per vari motivi si sono “ritirati dal lavoro”, al 5,3% degli operai, sino al 6,4% degli imprenditori e dei liberi professionisti e al 6,5% dei dirigenti e degli impiegati. Differenze, tra l’altro, nemmeno troppo importanti.