Mio figlio non studia, cosa gli dico?

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Mio figlio non studia, cosa gli dico?

Messaggiodi edscuola » 23 aprile 2011, 8:10

da LASTAMPA.it

Mio figlio non studia, cosa gli dico?

La ricerca inglese: «Anche la frase più banale ha un peso, ecco le regole per i genitori»
ROSELINA SALEMI

MILANO
Si avvicina la fine dell’anno scolastico, è la resa dei conti. Tante interrogazioni e figli sotto la fatidica sufficienza da maneggiare con cura (nessuno si fa più legare alla sedia come ai bei tempi di Vittorio Alfieri). Vorremmo aiutarli e non troviamo le parole per dirlo. Eppure le parole sono importanti. E se la formula magica che molti genitori invocano, capace di sbloccare il meccanismo del figlio, inceppato sul quattro, non esiste (anche se la PNL, programmazione neurolinguistica ci prova), una ricerca inglese dimostra che le frasi di incoraggiamento pronunciate a volte con noncuranza hanno un peso.

Esempio: 1) «Impari così in fretta, sei così intelligente!». 2) «Guarda questo disegno. Sei per caso il prossimo Picasso?». 3)«Sei così brillante, hai passato l'esame senza quasi studiare». Affermazioni innocenti, eppure... L'esperimento della psicologa Carol Dweck ha dimostrato che sei parole di elogio (metà usate per lodare l'intelligenza e l'altra metà per gli sforzi) producono differenze significative.

L'esperimento ha riguardato un gruppo di 400 ragazzi. Potevano scegliere se fare un test difficile o facile. I 2/3 degli studenti elogiati per l'intelligenza hanno scelto il compito semplice (non volevano rischiare di perdere la loro etichetta di persone «brillanti»), ma il 90% del gruppo che è stato elogiato per gli sforzi ha scelto il test più difficile (i ragazzi volevano dire: noi lavoriamo sodo). Alla fine, il gruppo degli «intelligenti» ha mostrato un declino della performance del 20%, invece il «gruppo-sforzo» ha aumentato il suo punteggio del 30%. Che cosa significa? Che elogiare l'intelligenza danneggia la motivazione. Le tre frasi di incoraggiamento iniziale hanno un messaggio subliminale: 1) Se non imparo velocemente, non sono intelligente. 2) Non dovrei provare a disegnare qualcosa di difficile, altrimenti loro vedranno che non sono Picasso. 3) Sarebbe meglio che smettessi di studiare, altrimenti penseranno che non sono brillante.

«Eh sì», commenta Stefania Andreoli, presidente dell'associasione Onlus "Alice", specializzata in problemi dell'adolescenza, in questi giorni assalita da genitori in cerca di una soluzione last minute per chiudere l'anno scolastico senza drammi: «I messaggi che il padre e la madre trasmettono influenzano profondamente il rendimento. Molte volte si limitano a un banale meccanismo di premi-punizioni, alla cosiddetta "predica" (niente di più inutile), alla rievocazione dei "loro tempi" (ancora più inutile), alla minaccia che, se non studiano, non combineranno niente della vita. Non vedono il disagio che il comportamento esprime. Ho avuto una ragazzina che dopo ottimi risultati aveva cominciato prendere voti bassissimi. Perché? Il fidanzatino sarebbe stato bocciato e voleva restare in classe con lui. In famiglia nessuno se ne era accorto».

Torniamo, purtroppo alla terribile accusa. «Tutta colpa dei genitori», come grida il libro di Antonella Landi, insegnante di italiano e blogger, che l'anno scorso ha provocato una vera guerriglia su Internet e oltre. Colpa dei genitori, che svalutano gli insegnanti («la prof. di filosofia è una cretina»). Colpa anche di quelli che riducono il valore del figlio al suo voto, ne fanno una questione di performance. In un'epoca in cui il talento e la personalità sembrano prevalere su ogni cosa, dalla politica al Grande Fratello, e chi ottiene risultati socialmente accettabili studiando il meno possibile è «figo», la ricerca inglese suggerisce di incoraggiare gli sforzi e offrire innanzitutto fiducia. «Uno dei problemi - spiega Andreoli - è che questi genitori in cerca delle frasi giuste spesso credono pochissimo nei loro figli». E scopriamo che davvero le parole sono pietre, che persino l'uso del futuro ottimista («Andrà bene, sono sicuro che ce la farai») è «pericoloso e prescrittivo, perché apre la via al crollo in caso di fallimento». Che la frase più bella da dire non è «Tu puoi», ma «Io ci sono».
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