A chi danno ragione i dati dell’Ocse?

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A chi danno ragione i dati dell’Ocse?

Messaggiodi edscuola » 19 giugno 2009, 8:54

da www.ilsussidiario.net


SCUOLA/ A chi danno ragione i dati dell’Ocse?
Redazione

venerdì 19 giugno 2009

Una vera sbornia di informazioni, dati, riflessioni e commenti sul tema scuola. In questa fine d’anno scolastico stiamo sentendo di tutto: dal riordino delle superiori (prima i tecnici e professionali e poi i licei), al numero elevato di bocciature, fino al problema degli esami, delle nuove prove Invalsi, del “toto-tema” alla maturità. E adesso ci si è messa anche l’Ocse: un rapporto sullo stato degli insegnanti, unitamente al capitolo dedicato alla scuola nell’“Economic survey of Italy”, hanno dato l’ennesima bordata al nostro sistema di istruzione: tanta spesa e poca qualità, insegnanti anziani e senza incentivi.

Troppe cose, in cui vale la pena mettere un po’ di ordine. Perché di confusione, in effetti, ce n’è tanta: basta leggere i commenti successivi alla diffusione del rapporto Ocse. Sembra di assistere ai commenti post-elettorali: tutti hanno vinto. Gelmini dice: l’Ocse mi dà ragione, la scuola italiana è da cambiare. I sindacati e la sinistra dicono: l’Ocse sbugiarda la Gelmini, la scuola italiana non va bene. Se non che, con la stessa oggettività con cui alla fine i dati della prefettura dicono chiaramente chi ha vinto e chi ha perso le elezioni, anche in questo caso un minimo di criterio per raccapezzarsi c’è. Sentire, ad esempio, il segretario della Cisl scuola, Francesco Scrima, affermare che «l’Ocse rafforza le convinzioni» del sindacato, per chi si occupa un po’ dell’argomento è cosa da far venire un tuffo al cuore. Le indicazioni dell’Ocse sono inequivocabilmente l’esatto contrario di ciò che i sindacati, e in particolare l’ahinoi agguerritissima Cisl scuola, dicono riguardo ai docenti. Basti pensare al chiaro ed esplicito invito all’autonomia scolastica nel reclutamento del personale, cosa contro cui i sindacati fanno una guerra spietata. Per non parlare poi dell’invito a spendere meno e meglio, elevando il rapporto alunni-insegnanti (cioè: tagliando cattedre), che sarebbe veramente interessante capire come possa essere letta come una “conferma” di ciò che dicono i sindacati.

Se però è agevole individuare lo sconfitto, non altrettanto immediato è rendersi conto del vincitore. Anche il ministro Gelmini, in effetti, non è che risulti pienamente promossa dall’Ocse. L’indicazione è chiara: bisogna fare riforme più radicali di quelle approntate fino ad ora. Certo, il ministro ha tutte le ragioni di questo mondo nel ricordare le paurose resistenze che un progetto riformistico deve affrontare in quel vero e proprio covo di mentalità retrograda e a tratti violenta che è spesso la scuola italiana (si veda l’increscioso episodio della mancata presentazione del libro di Mario Giordano in una libreria milanese, dove i violenti scalmanati erano quasi tutti insegnanti). Tutto vero. Però allora non possiamo dire che il riordino della scuola superiore appena attuato sia il tanto atteso cambiamento della scuola italiana dopo la Riforma Gentile. Giusto, per carità, mettere ordine nella pletora di corsi e di sperimentazioni. Ma, diciamolo, quello di cui c’è veramente bisogno non è questo. E se è possibile fare un’aggiunta critica, anche questa volta l’impianto rimane quello centralistico deciso dal ministero, e ben poco spazio viene lasciato alla personalizzazione dei percorsi.

Ma un punto di novità, in linea con le indicazioni dell’Ocse, c’è anche nel panorama politico italiano. Lo abbiamo detto più volte, su questo giornale: è il progetto di legge in discussione alla Commissione Cultura della Camera, il cosiddetto pdl Aprea. Lì si che si parla di carriera dei docenti, che finalmente possano vedere aumentare lo stipendio in base al merito e non solo agli anni; lì sì che si parla di autonomia scolastica nel gestire risorse, sia umane che finanziarie. Insomma: quello è veramente un punto di partenza per affrontare il problema nei termini suggeriti dall’Ocse. Il governo allora faccia veramente proprio questo progetto, pur con le modifiche di cui eventualmente necessita. È bene ricordare che se il ministro Gelmini farà questo, andrà sì incontro a proteste e resistenze, ma non sarà nemmeno lasciata sola: si fa sempre più strada anche in Italia un compiuto pensiero riformista sulla scuola (si pensi alle varie associazioni e fondazioni che lavorano sul campo), così come non sono pochi gli insegnanti favorevoli a una “rivoluzione” del merito nella carriera docenti, come dimostrato da una recente indagine della Fondazione Agnelli.

Un’ultima annotazione: molto positiva in questo senso l’apertura esplicita della Gelmini ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, sul tema della parità scolastica. Non si tratta di assecondare un pallino dei preti, e di dare più soldi alle scuole cattoliche. Il ministro ha indicato il vero punto: dare bonus alle famiglie, perché possano scegliere in piena libertà, anche economica. È il modello lombardo, ha ricordato il ministro. Bene così: se le famiglie possono scegliere, si accende il motore della competizione virtuosa. Le scuole paritarie non saranno più costrette a promuovere tutti per avere un minimo di alunni che garantisca loro la sopravvivenza; le scuole statali si dovranno adeguare a capire come attrarre studenti, senza dare la cosa per scontata. Queste sono le molle su cui si migliora la qualità. La Cgil ha subito promesso mobilitazioni. Bene, ministro: è la prova che quella è la strada giusta.



(Rossano Salini)
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