"Bulli, sfidatevi a duello"

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"Bulli, sfidatevi a duello"

Messaggiodi edscuola » 21 marzo 2009, 14:44

da LASTAMPA.it

INCHIESTA - IL CASO
"Bulli, sfidatevi a duello"

Una madre ha ritirato il figlio tornato a casa pieno di lividi
FRANCESCO SEMPRINI

NEW YORK
«School Fight», ovvero combattimenti a scuola. Non si tratta dell’ennesimo film di scontri sullo stile «Fight Club» di Edward Norton, né di un nuovo videogioco di arti marziali. E’ piuttosto un modo per risolvere contenziosi tra studenti utilizzato quotidianamente in un liceo di Dallas. Due ragazzi hanno un diverbio, litigano, si rinchiudono in una gabbia prendendosi a calci e pugni con piedi e mani nudi, sino a che uno dei due, o entrambi, decidono di averne date o subite abbastanza. Poi, come se niente fosse, si ritorna in aula.

Quei segni sul corpo
«Non potrò mai dimenticare il corpo pieno di lividi di mio figlio», racconta Angela Williamson, mamma di uno studente della South Oak Cliff High School. «Mi ha raccontato che a scuola era la norma, che si dava a tutti la possibilità di risolvere i problemi nella gabbia, - dice Angela - mentre i compagni assistevano gridando e applaudendo ad ogni fendente, come in una vera e propria arena». Da quel giorno del 2004 suo figlio non è più tornato alla Cliff School e per la donna è iniziata una lunga battaglia per la verità. I «cage fight», ovvero i combattimenti nella gabbia ispirati agli incontri di Ultimate Fighting - la spettacolare e violenta lotta estrema che tanto successo sta riscuotendo negli Stati Uniti - sono durati per oltre due anni nella South Oak Cliff School, dal 2003 al 2005. Ma la verità è venuta fuori solo molto tempo dopo, al termine di un’indagine parallela condotta dal Distretto scolastico di Dallas (Disd). Nel caso di Cortland Williamson, il figlio di Angela, tutto inizia per un vivace diverbio con un compagno di classe.

Interviene l’insegnante di football americano che in un primo momento divide i due ragazzi spiegando che non è quello il modo e il luogo per risolvere il contenzioso. Subito dopo li porta nello spogliatoio dove c’è una gabbia rudimentale formata da armadietti, reti di protezione e asciugamani arrotolati. «Vi lascio sistemare da soli la questione - dice - mi raccomando però usate solo mani e piedi nudi». Courtland e il suo avversario combattono per oltre cinque minuti, «un sacco di tempo per due persone che si prendono a calci e pugni», dice Angela. Dopo quell’episodio, nel corso di una riunione con i professori la donna chiede spiegazioni all’allenatore che fornisce una parziale ammissione. Ma il preside, Donald Moten, ex poliziotto congedato in seguito a un episodio di finto rapimento, nega di essere a conoscenza dei «cage fight», ed anzi pretende le scuse del «coach».

Gli scrutini truccati
Ma Angela non si accontenta e decide di andare avanti: scrive decine di lettere al provveditorato, organizza incontri con gli altri genitori e rivolge appelli alle autorità del distretto scolastico. Ma i suoi tentativi cadono nel vuoto. In realtà in molti nella scuola erano a conoscenza dei «cage fight» ma per timore di ritorsioni preferivano tacere. Come Frank Hammond, un consigliere del liceo: «tanto nessun avrebbe mosso un dito», dirà agli inquirenti più avanti. Per rompere il muro di omertà si deve attendere il 2008, quando nel corso di un’indagine su scrutini truccati nello stesso istituto, gli inquirenti del Disd vengono per la prima volta a conoscenza dei «cage fight».

«Tutto il personale coinvolto è stato sanzionato da un punto di vista professionale, ma non credo che scattino incriminazioni», dice il sovrintendente Michael Hinojosa che ha condotto l’indagine. In molti sono stati mandati a casa, tra questi anche Hammond, mentre Moten, che si era già dimesso dopo lo scandalo scrutini, continua a negare ogni responsabilità. L’episodio tuttavia ha sollevato le proteste dei genitori, preoccupati per l’incolumità dei figli, mentre gli esperti lanciano l’allarme: «Le scuole dovrebbero stare molto attente a ogni atteggiamento aggressivo - dice Joan Goodman, sociologa dell’Università dell’Indiana - Incoraggiare o solo ignorare comportamenti del genere rischia di amplificare la violenza e favorire piaghe pericolose come il bullismo».
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