Disegno di Legge di Stabilità 2012 e persone con disabilità

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Disegno di Legge di Stabilità 2012 e persone con disabilità

Messaggiodi edscuola » 12 ottobre 2012, 8:47

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11 ottobre 2012

Disegno di Legge di Stabilità 2012 e persone con disabilità

Il 9 ottobre 2012 il Consiglio dei Ministri ha approvato la bozza del disegno di Legge di Stabilità che ora passa alle Camere per la discussione, gli emendamenti e l’approvazione finale.
Non disponendo ancora del testo ufficiale (che verrà depositato a giorni alla Camera) questa prima analisi si basa sulla versione del disegno di legge sottoposto al Consiglio del Ministri e sulle successive dichiarazioni di provenienza ministeriale.
Le considerazioni che seguono possono essere quindi passibili di revisione nel momento in cui i testi ufficiali saranno finalmente disponibili.
Quali sono gli obiettivi della Legge di Stabilità?
Le intenzioni del Governo, finalità della Legge di Stabilità sono state ufficialmente dichiarate.
Si intende innanzitutto evitare l’aumento di due punti percentuali dell’IVA già previsto dalla Manovra Salva Italia dello scorso anno per il primo luglio 2013.
Con la Legge di Stabilità l’aumento viene dimezzato.
L’intenzione è reperire la disponibilità economica per alcuni obiettivi: sono i nuovi incentivi per l’aumento della produttività; le garanzie per gli “esodati”; la copertura delle necessità dei Ministeri per il 2013 ed infine il pagamento degli arretrati delle Pubbliche amministrazioni, cioè dei debiti e dei ritardi nella liquidazione verso i fornitori.
Per realizzare questi obiettivi sono previsti tre strumenti. Il primo strumento è la revisione della spesa pubblica (spending review); il secondo comprende degli interventi fiscali in materia bancaria e assicurativa; il terzo, infine, riguarda l’imposta sulle transazioni finanziarie (quella che viene chiamata Tobin Tax, oggetto di aspre discussioni a livello internazionale).
Si stima che Legge di Stabilità dovrebbe consentire allo Stato di recuperare quasi 12 miliardi di euro.
In questo quadro sono previsti interventi che incidono direttamente sui Cittadini ed in particolare sulle persone con disabilità e sulle persone non autosufficienti.
Tagli alla sanità
Il Governo continua a puntare su quella che definisce come “spending review”, cioè la revisione della spesa
pubblica e che ha già iniziato con recenti interventi normativi.
Dice il comunicato: “La prima fase della spending ha garantito un risparmio di circa 4,4 miliardi per il 2012, 10,3 miliardi per il 2013 e 11,2 miliardi per il 2014. La spesa censita alla quale fanno riferimento questi risparmi è pari a circa 60 miliardi di acquisto di beni e servizi. Le nuove misure di razionalizzazione della spesa pubblica si basano su un censimento di spesa “aggredibile” pari a circa 50 miliardi: 11 miliardi per l’acquisto di farmaci, 7 miliardi per i dispositivi medici e 32 miliardi di acquisti per gli investimenti. L’importo censito nelle due fasi della spending è di 110 miliardi, circa il 65% della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi.”
Traduzione: si prosegue nel contenimento (taglio) della spesa in ambito sanitario.
Il “quanto”non è ancora ben definito: la bozza di disegno di Legge indica 1,5 miliardi di euro di risparmio, ma dichiarazioni precedenti e successive ipotizzano cifre inferiori (600 milioni) tuttavia ancora prive di conferme.
Il “come” invece è chiaro: si riducono le spese per gli acquisti di beni e servizi. E fra i “servizi” ci sono anche le convenzioni, ad esempio, per riabilitazione.
L’obiettivo dovrebbe essere raggiunto innalzando al 10% (oggi è del 5%) la riduzione degli oneri per i vecchi appalti (vengono pagate di meno le stesse prestazioni) e abbassando il tetto di spesa per i dispositivi medici.
Il che significa meno servizi o servizi di qualità inferiore, e meno rinnovamento delle apparecchiature (qualità e/o quantità inferiore).
Tagli agli Enti locali
Da una prima analisi del testo gli elementi di maggiore preoccupazione, per il futuro dei servizi sociali e sanitari, deriva da ulteriori tagli lineari ai trasferimenti alle Regioni.
Il disegno di Legge di Stabilità varato dal Consiglio dei ministri aumenta i tagli alle Regioni a statuto ordinario di 2 miliardi (uno per il 2013, un altro per il 2014). Le Regioni a statuto speciale (Sicilia esclusa) dovranno rinunciare ad altri 500 milioni l’anno.
Si riducono, inoltre, rispettivamente di 500 e 200 milioni le risorse del fondo perequativo di Sicilia e Sardegna nei confronti dei propri comuni e delle proprie province.
Si tratta, lo precisiamo, di riduzioni ulteriori rispetto a quelli previsti negli ultimi due anni e alle retrazioni derivanti dal Patto di Stabilità.
Nuove aliquote IRPEF
Anche sull’ipotesi di un’imposizione fiscale di maggior favore, manca ancora un testo ufficiale compiuto.
Con un intervento dai limitati effetti sostanziali, il Governo prevede di abbassare di un punto le due aliquote di tassazione più bassa.
L’attuale aliquota del 23% (redditi da 0 a 15.000 euro) passa al 22. Quella del 27% (15.001- 28.000 euro) passa al 26. La misura entrerebbe in vigore dal prossimo gennaio e, quindi, gli effetti più sostanziali si vedrebbero in occasione della denuncia dei redditi dell’anno successivo, poiché si applica su quanto “guadagnato” a partire dal 2013.
L’ipotesi viene presentata come rivolta ai redditi più bassi, ma in realtà per il principio della progressività dell’imposta, porta vantaggio anche a chi ha un reddito molto elevato. Ad esempio, anche chi guadagna 100 milioni di euro all’anno avrà minori imposte per 280 euro all’anno, cifra del tutto simile a chi denuncia 28.000 euro.
Le nuove aliquote, non producono alcun effetto sui cosiddetti “incapienti” e cioè su chi ha un reddito tanto basso da non pagare l’IRPEF (circa 10 milioni di contribuenti). Non è pertanto certamente una misura di contrasto alla povertà o al rischio di impoverimento.
Inoltre, su questi ultimi pesa l’effetto di diminuzione del potere di acquisto derivante dall’aumento delle aliquote IVA, in nessun modo compensato da altre agevolazioni.
Revisione delle agevolazioni fiscali
Sempre in ambito fiscale il Governo sembra voler accelerare l’approvazione di misure di contenimento della cosiddetta “erosione fiscale” o “spesa fiscale” (tax expenditures) derivante dalle agevolazioni fiscali.
Cosa sono le agevolazioni fiscali? Sono quell’assieme di benefici che il Legislatore ha concesso al contribuente in occasione della denuncia dei redditi (IRPEF) o in occasione di particolari acquisti (IVA agevolata).
L’intenzione di una profonda revisione delle agevolazioni fiscali è già stata espressa da diversi provvedimenti.
Su questo tema è necessario tornare alle Manovre già approvate a luglio e a settembre 2011 dal precedente Governo Berlusconi (Leggi 111 e 148).
L’articolo 40 (comma 1 ter) della Legge 111/2011, con l’intento di recuperare 24 miliardi fra il 2013 e il 2014, prevedeva il taglio lineare dei «regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale» del 5 per cento per l’anno 2013 e del 20 per cento a decorrere dall’anno 2014.
Successivamente la Legge 148 ha anticipato i tempi al 2012 e aumentato la stima del risparmio atteso (40 miliardi in 3 anni).
I «regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale» da sottoporre al taglio lineare sono elencati in un apposito allegato alla Legge 111 (allegato C bis). Fra le agevolazioni a rischio di eliminazione o riduzione si annoverano quelle cui più comunemente ricorrono i contribuenti: le detrazioni per le spese sanitarie, per gli interessi sui mutui, per i carichi di famiglia, ma anche le deduzioni per le spese di assistenza per i non autosufficienti, per gli ausili, per le protesi e molti altri oneri che, comunque, rimangono in carico al contribuente e che riducono il reddito che effettivamente rimane a loro disposizione.
Con la Manovra Salva-Italia del dicembre 2011, il Governo Monti mantiene la cosiddetta “clausola di salvaguardia” e conserva la possibilità di intervenire qualora “ entro il 30 settembre 2012 siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia fiscale ed assistenziale aventi ad oggetto il riordino della spesa in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali (...).”
Nel disegno di Legge di Stabilità il Governo ritorna su quella “opportunità” riservandosi la possibilità di rivedere i regimi di agevolazione e indica due ambiti. Il primo è quello di porre un limite alle spese detraibili e una franchigia su quelle deducibili.
Per le spese deducibili viene fissata una franchigia di 250 euro. Potranno essere dedotte (cioè sottratte dal reddito complessivo) solo le spese per la parte eccedente il nuovo limite. Fra spese deducibili rientrano quelle di assistenza specifica per le persone con grave disabilità.
Più complessa l’ipotesi sulle detrazioni (cioè la possibilità di sottrarre dall’imposta dovuta una percentuale della spesa sostenuta). In questo caso la cifra detraibile massima complessiva per ciascun contribuente viene fissata a 3000 euro: questo è il massimo di “sconto” di cui può fruire chi presenta la denuncia dei redditi.
Se si assume come riferimento il 19% (percentuale più comune di detrazione) il massimo di spesa detraibile è pari a 15.789 euro annui. Ma se si assume il 36% la spesa di riferimento è molto inferiore.
Un esempio: attualmente chi acquista e adatta un veicolo destinato ad una persona disabile può detrarne la spesa fino a 18075,99 euro; se entrassero in vigore le nuove regole, il contribuente potrebbe detrarne 2286,99 euro in meno.
Non è ancora chiaro quali saranno le spese detraibili a rientrare nel limite dei 3000 euro. Verosimilmente il Governo si riserverà una delega. Si tratta di una scelta dagli effetti molto delicati, poiché le voci che possono costituire detrazione sono assai numerose e variegate (carichi di famiglia, lavoro dipendente, spese sanitarie, ausili, spese veterinarie, spese per ristrutturazione, spese funebri, donazioni ...).
Una nota di colore: nel suo Comunicato stampa il Governo rassicura che queste misure riguardano solo i redditi superiori ai 15.000 euro. Si tratta di una ovvietà: quand’anche un contribuente con un reddito inferiore a quella cifra avesse sostenuto una spesa superiore ai 15.000 euro, non troverebbe capienza una detrazione di 3000, poiché il suo IRPEF sarebbe senz’altro inferiore.
Tassazione di pensioni, indennità e prestazioni ai disabili
Per la seconda misura di revisione delle agevolazioni il Governo si rivolge alle persone con disabilità. Recita il comunicato: “si prevede anche l’assoggettabilità ad IRPEF delle pensioni di guerra e di invalidità.”
Si tratta di un intento che traspariva già nell’Allegato C della Legge 111/2011, ma espressa con questa modalità anodina non consente di comprenderne agevolmente né le premesse né gli effetti normative.
Vediamo di capirla meglio.
Il riferimento normativo vigente è il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, articolo 34 che prevede che pensioni di guerra, pensioni e indennità per ciechi e “i sussidi corrisposti dallo Stato e da altri enti pubblici a titolo assistenziale” siano esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche.
La scelta sino ad oggi operata dal Legislatore (DPR 603/1973, art. 34) è stata volta ad esentare dall’imposizione quelle provvidenze che lo Stato stesso eroga a fini di assistenza (articolo 38, Cost.), quindi anche pensioni, assegni, indennità agli invalidi civili, ma anche, ad esempio, i contributi per la vita indipendente.
A ben vedere, una scelta di segno opposto sarebbe stata paradossale e controproducente: lo Stato si sarebbe trovato nella situazione di concedere un aiuto, dopo aver apprezzata e valutata la situazione di bisogno, per poi ridurre l’entità dell’aiuto applicandone una imposizione.
Con la scelta ventilata nel disegno di Legge di Stabilità tutte le provvidenze assistenziali agli invalidi civili (ciechi e sordi) diventerebbero imponibili ai fini IRPEF, indipendentemente dal loro importo. Non è escluso che, a cascata, vi rientrino anche altre provvidenze assistenziali erogate dalle Regioni (esempio: assegni di cura, contributi vita indipendente ecc.), vista l’espressione letterale del vecchio DPR 603/1973 che le escludeva. Questo comporta i seguenti principali effetti:
le provvidenze assistenziali rientrano nel cumulo complessivo dei redditi del contribuente (il pensionato di anzianità anche titolare di indennità di accompagnamento si troverà reddito aumentato di 5880 euro l’anno);
il computo di queste provvidenze può comportare il passaggio di una parte del reddito nella tassazione ad aliquota superiore (si pagano più imposte);
la maggioranza degli invalidi civili, privi di altri redditi, non potrà più essere considerata fiscalmente a carico di un familiare (oggi il limite è 2840,51 euro). Se questo da un lato evita che le provvidenze assistenziali (pensione, indennità, assegno) finiscano nel reddito del familiare e vengano tassate, dall’altro lato non consente più di ottenere altri benefici. Primo fra tutti la possibilità di detrarre alcune spese sostenute nell’interesse del familiare a carico (esempio: veicolo adattato al trasporto) che al contempo nemmeno il disabile può detrarre perché verosimilmente incapiente;
Esempio: non risultando più a carico il figlio disabile minore con indennità di accompagnamento, il contribuente non potrà richiedere la detrazione forfettaria per il figlio, tanto meno maggiorata;
Molti interrogativi si pongono anche per la concessione degli assegni al nucleo familiare: potranno ancora essere concessi nel caso in cui il figlio non risulti a carico? L’interpretazione più credibile è purtroppo negativa.
Un documento poco noto del Ministero dell’economia (Relazione sull’erosione fiscale, novembre 2011) quantifica il mancato introito che deriva dal non considerare reddito le provvidenze assistenziali. Afferma quel documento che il mancato introito sarebbe di circa 500 milioni (chi scrive ritiene che il calcolo sia errato in difetto), ma si tratta di un’analisi che valuta solo i numeri senza considerare l’origine normativa della scelta e gli effetti fortemente distorsivi che scelte diverse causerebbero.
Permessi lavorativi Legge 104/1992
Altro elemento di forte perplessità introdotto nel disegno di legge riguarda i permessi lavorativi per chi (dipendente pubblico) assiste un familiare con una grave disabilità già oggetto di diversi ridimensionamenti negli ultimi anni.
Fino all’approvazione della Legge 4 novembre 2010, n. 183 i permessi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992 erano concessi a parenti o affini entro il terzo grado, retribuiti e coperti da contributi figurativi.
Dopo l’approvazione della Legge 183/2010 hanno diritto ai permessi lavorativi i parenti e gli affini entro il secondo grado (figli, nonni, suoceri, cognati ecc.) oltre al coniuge.
Solo in particolari condizioni le agevolazioni possono essere estese ai parenti e affini di terzo grado della persone con disabilità da assistere. Queste “eccezioni” sono fissate dall’articolo 24 della citata Legge 183: i genitori o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Ulteriori restrizioni alle condizioni per la concessione dei permessi lavorativi sono state introdotte dal Decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119, limitando la cumulabilità dei permessi in capo al medesimo lavoratore e imponendo maggiori obblighi probatori nel caso si richieda di assistere un familiare che abita a oltre 150 chilometri dalla propria residenza.
Il disegno di Legge di Stabilità non interviene sulla platea dei beneficiari o sulle condizioni di accesso dei permessi lavorativi, ma ne riduce la retribuzione al 50%. Inoltre non interessa i lavoratori del settore privato ma solo i dipendenti pubblici.
Questa riduzione non riguarda i lavoratori con disabilità che fruiscano in proprio dei permessi, né i genitori che assistono i figli, né il coniuge.
Negli altri casi (esempio chi assiste è il figlio, la sorella, il nipote) la retribuzione dei permessi è dimezzata pur conservando integralmente la contribuzione figurativa utile per il raggiungimento al diritto alla pensione.

Nella tabella che segue il prospetto della situazione odierna comparata con quella che si genererebbe in caso di approvazione delle misure contenute nel disegno di Legge di Stabilità

Permessi oggi
Permessi domani

Lavoratori disabili
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 100% e contributi

Coniuge di disabili
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 100% e contributi

Genitori di disabili
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 100% e contributi

Figli di disabili
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 50% e contributi

Fratelli di disabili
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 50% e contributi

Altri parenti
Retribuzione 100% e contributi
Retribuzione 50% e contributi

Nota bene: la tabella si riferisce ai soli dipendenti pubblici

Ma quanto costano i permessi ex Legge 104/1992?
I dati non sono così evidenti nel settore privato (ove comunque l’incidenza percentuale è di molto inferiore che nella Pubblica Amministrazione).
Nell’ambito della Pubblica Amministrazione i dati sono più facilmente riscontrabili.
L’ultima rilevazione disponibile è sui dati del 2010, resi noti nel giugno del 2011 dopo aver monitorato le circa 25.000 amministrazioni pubbliche. La Legge 183/2010 impone infatti l’obbligo di una sistematica rilevazione dei dati relativi ai permessi fruiti dai dipendenti pubblici in base alla Legge n. 104/1992.
Su 3.311.582 dipendenti pubblici, nel corso del 2010 hanno fruito di permessi ai sensi della Legge 104/1992, 244.997 lavoratori, il che rappresenta il 7,4 % del totale (dei dipendenti pubblici).
Nello stesso anno sono state fruite 4.835.263 giornate di permesso per un costo a carico dello Stato di 725.289.450 euro.
Per giornata lavorativa si considerano 7 ore e 20, e per costo giornaliero medio (comprensivo di retribuzione e versamenti contributivi) si assumono 150 euro calcolati considerando pari a 33.000 euro lo stipendio medio annuo di un dipendente pubblico su 220 giornate lavorative.
I lavoratori con disabilità che hanno fruito in proprio delle agevolazioni lavorative sono 27.229 di cui 17.346 donne.
Preponderanza delle donne anche nella fruizione dei permessi per assistere parenti ed affini; sul totale di 217.912, l’incidenza femminile è pari a 158.949 lavoratrici.
1.034 sono i lavoratori disabili che fruiscono anche dei permessi per assistere, a loro volta, parenti o affini.
Sono 4.182.876 le giornate usate dai dipendi pubblici per assistere parenti, e 652.387 quelle sfruttate dai lavoratori con disabilità.
Particolarità
La sintesi dei dati prodotta dal Dipartimento fornisce anche elementi interessanti rispetto alle differenti fruizioni all’interno delle diverse Amministrazioni.
Svetta su tutte la scuola, dove nel 2010 sono state usate oltre 1.400.000 giornate di permesso, per un costo stimato, a carico dello Stato, di circa 210 milioni di euro. È come se mancassero all’appello oltre 6.000 insegnanti.
Purtroppo la sintesi non offre il dato dell’incidenza percentuale del numero di lavoratori che godono dei benefici, sul numero totale dei dipendenti, suddivisi per comparto.
Dopo la scuola, altro comparto che incide notevolmente sul totale è quello delle Amministrazioni comunali: oltre 870.000 giornate di permesso con un costo di 130.000 euro stimati.
La sintesi offre anche alcuni dati sulla distribuzione territoriale dei fruitori, ma tale aggregato risulta poco significativo in assenza del dato sull’incidenza dei dipendenti pubblici per regione. Il Lazio risulta la regione con più elevato numero di fruitori, ma questo dato non tiene conto della forte presenza di Ministeri e strutture centrali, quindi potrebbe essere distorto e comunque non ponderato.
Più orientativo è il dato sulla distribuzione territoriale dei beneficiari nel comparto scuola: 47,44% al sud, 24,41 al centro, 28,15 al nord. La prima regione, per numero di fruitori, risulta la Campania, seguita dal Lazio, dalla Sicilia, dalla Lombardia e dalla Puglia.
Il monitoraggio citato ha una evidente lacuna nei dati: si limita ai permessi lavorativi previsti dalla Legge 104/1992 e non anche ai congedi biennali retribuiti (art. 42, Decreto legislativo 151/2001). Questo secondo beneficio è ampiamente usato anche nella forma frazionata. Incide quindi sulle cosiddette giornate non lavorate, sull’organizzazione del lavoro e, ultimo ma non ultimo, sul costo a carico dello Stato.
Qual è il motivo della scelta?
È verosimile che la ragione della scelta del Governo sia volta al contenimento di una spesa che appare, nelle logiche di bilancio, fuori controllo.
L’aumento della popolazione anziana e delle persone con non autosufficienza acquisita nella terza età è in deciso aumento, il che rende molto più ampia la potenziale platea dei beneficiari della Legge 104/1992.
Che questa prospettiva inquieti il Ministero dell’economia appare evidente nella scelta tecnica adottata che incide maggiormente sui figli che assistono i proprio genitori.
Nelle prossime settimane sarà interessante comprendere quale sia l’esatta stima di risparmio che il disegno di legge prevede per questa voce che, senza dubbio, ha delle ricadute su molte famiglie italiane.
Una nostra stima prudenziale, cioè che l’effetto prodotto sia il più favorevole possibile all’erario, assesta il risparmio annuo effettivo attorno a 100 milioni euro, quindi piuttosto modesto rispetto agli effetti che produce.
Inoltre non è da escludere un effetto indesiderato. Come si può notare fra coloro che sono interessati dalla decurtazione vi sono i figli delle persone con disabilità, oltre ai fratelli e alle sorelle.
Costoro rimangono comunque pienamente titolari della possibilità di richiedere i congedi biennali retribuiti (art. 42, Decreto legislativo 151/2001) di cui il disegno di Legge non fa menzione e di cui non limita l’indennità riconosciuta vigente.
È, quindi, del tutto verosimile che tale misura finisca per incentivare il ricorso a questa agevolazione lavorativa (fruibile anche in modo frazionato), annullando sul breve e medio periodo gli effetti attesi dal Governo.

Carlo Giacobini
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