da Corriere della Sera
Scuola e famiglie
In ferie per parlare con i professori
I genitori si lamentano: basta colloqui solo al mattino. Divisi i presidi
MILANO — La prof di matematica riceve il lunedì alle 11. Il collega di storia dell’arte il martedì alle 9. Il mercoledì sono fissati i colloqui di italiano e storia, il giovedì di latino, il venerdì di filosofia (previo appuntamento). L’incastro è diabolico, peggio di un sudoku. Affrontato di malavoglia — e il più delle volte non risolto — dalle coppie di genitori che lavorano: «Serve una settimana di ferie per parlare con i docenti ».
Nelle grandi città le famiglie iniziano a riunirsi in comitati, chiedono flessibilità. Alla scuola: incontri serali con i docenti. E al mondo del lavoro: permessi garantiti per seguire i figli. Gli orari degli insegnanti e gli orari dei genitori. Due realtà incompatibili, da sempre. Esigenze diverse che diventano sempre più conflittuali, dalle elementari alle superiori. La questione vista dalla parte dei docenti: è giusto, dopo una mattinata trascorsa a tenere a bada venticinque ragazzini scatenati, tornare a casa, correggere i compiti e rientrare a scuola perché il papà di Rossi non ha tempo? E il tutto per 1.300 euro al mese? Vista dalla parte delle famiglie: perché saltare un giorno di lavoro — e perderne uno di vacanze — per trascorrere un quarto d’ora con un prof che neanche ricorda il volto dei suoi alunni? Ferri corti. Anche se qualche istituto un tentativo di conciliazione lo sta facendo. Liceo scientifico Vittorio Veneto, Milano. Due volte all’anno i professori si riuniscono a scuola dalle 16 alle 20 per accogliere chi la mattina non si è mai presentato. Stessa cosa al classico Berchet, altro noto liceo milanese.
Il preside, Innocente Pessina, sospira: «Mi piacerebbe fare di più, estendere l’iniziativa. I genitori hanno ragione, l’ora di ricevimento non è nient’altro che l’ora buca del prof tra una lezione e l’altra, non c’è coordinamento. Purtroppo le esigenze delle famiglie non vengono sufficientemente considerate». Michele D’Elia, a capo del Vittorio Veneto, è d’accordo: «Quando ero dirigente in Brianza il problema non c’era. Ma a Milano sì, la città ha ritmi diversi. Dobbiamo tenerne conto». Maria Letizia Terrinoni, responsabile del liceo Tasso di Roma: «Cerchiamo di raggruppare i docenti della stessa classe in un’unica mattinata ». La scuola che si avvicina alle famiglie. Piano piano. Maria Rita Munizzi, presidente nazionale del Moige, il Movimento italiano genitori, chiede un ulteriore passo in avanti: «È urgente, e lo sottolineiamo da tempo, che le istituzioni risolvano la mancanza di una norma che preveda la possibilità del genitore di godere di permessi orari, retribuiti o no, per concretizzare il proprio diritto-dovere di seguire i figli e il loro andamento scolastico ». Tempi e orari. Con un altro affondo del Moige: «Se un figlio con più di otto anni si ammala, non sono previsti congedi parentali. È assurdo: oggi madri e padri arrancano nella gestione del quotidiano, figuriamoci in casi di malattia».
L’appello delle famiglie: rivedere il sistema dei colloqui con i professori. Ma il fronte non è compatto. Per nulla. Giorgio Rembado, dell’Anp, l’associazione dei presidi, minimizza: «La questione si è sempre risolta con una tornata pomeridiana di incontri, senza problemi». Rosario Salamone, preside del liceo Visconti di Roma, ha già sperimentato questa soluzione: «Un’esperienza terribile: sembrava un suk mediorientale, file lunghissime e l’incontro che si esauriva nella lettura dei voti». No, così non va: «Chi mette i figli al mondo deve dimostrare una maggiore responsabilità. E saper rinunciare anche a una mattinata di lavoro». Difesa dei professori: «Non sono un supermercato aperto 24 ore al giorno». Carlo Pedretti, preside del liceo classico Parini di Milano, è ancora più duro: «Ci chiedono per quale motivo non organizziamo colloqui serali. Semplice: perché l’insegnante è stanco di dover riempire quei vuoti educativi che negli ultimi anni si sono creati nelle famiglie italiane». E poi c’è un’altra questione: «Se i docenti fossero pagati e considerati in modo diverso, allora potrebbero erogare servizi diversi».
Annachiara Sacchi