Scuola, escono 42 mila docenti

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Scuola, escono 42 mila docenti

Messaggiodi edscuola » 16 aprile 2009, 7:58

da Il Corriere della Sera

Le cifre La riduzione di personale farà risparmiare
allo Stato 1.600 milioni. In pensione 32 mila insegnanti

Scuola, escono 42 mila docenti

Le cifre La riduzione di personale farà risparmiare
allo Stato 1.600 milioni. In pensione 32 mila insegnanti

Gli studenti Nel 2009-2010 il numero degli iscritti
aumenterà soprattutto al Nord. Calo di alunni al Sud

I tagli regione per regione: Campania in testa
Più richieste di tempo pieno. Il ministero: accolte

Annachiara Sacchi

Maestro unico, cinque in condotta, anticipo alle elementari, inglese potenziato alle medie, educazione alla cittadinanza, 350 istituti accorpati. Scuola, si cambia. E si taglia. O, se si preferisce, si razionalizza. Con una riduzione di 42 mila docenti che farà risparmiare allo Stato 1.600 milioni di euro nel 2009-2010, 3.200 milioni nel prossimo triennio. Meno prof e più studenti (aumentano di circa diecimila unità). Ma il ministro Mariastella Gelmini assicura: «La riorganizzazione della spesa per la scuola ci consentirà di avere più risorse per i laboratori, per le strutture, per aumentare il tempo pieno ». Presa di posizione. Che non convince i sindacati: «È tutto da vedere».

Le regole

Nessuno lo ha nascosto. «Saranno lacrime e sangue», è stato detto fin dalla firma della legge 133, la Finanziaria varata nell’agosto 2008. E così è stato. Anche per il mondo della scuola. La circolare ministeriale dello scorso 2 aprile non lascia dubbi: 6 mila e cento prof in meno in Campania, 4 mila in Puglia, oltre 5 mila in Sicilia, 2.700 in Calabria, 4.800 in Lombardia. In totale, 37 mila posti ridotti in organico di diritto (e cioè quello definito sulla previsione degli iscritti) e altri 5 mila stipendi rosicchiati in organico di fatto (quello «corretto» ogni anno a settembre). E tutto sommato è andata meglio del previsto: grazie allo slittamento della riforma delle superiori — posticipata al 2010 — il ministero dell’Istruzione ha potuto sottrarre alla scure della legge 133 altri cinquemila posti di lavoro. In più, i 32 mila docenti che a settembre andranno in pensione dovrebbero ridurre gli effetti dei tagli sui supplenti annuali.

Risparmi, si parte. Del resto il ministro Gelmini lo ha sempre detto: «Il 97 per cento della spesa della scuola è destinata agli stipendi dei docenti. Per investire nella qualità non ci resta che il 3 per cento, laddove altri Paesi Ocse hanno a disposizione il 20. Ebbene, liberando queste risorse noi potremo spendere meglio». La macchina è partita. Il più penalizzato, il Mezzogiorno. La colpa è da attribuire al calo delle nascite: «Purtroppo — dicono i presidi campani — a differenza delle Regioni del Nord, non possiamo contare sulle iscrizioni dei giovani extracomunitari. Perdendo alunni, perdiamo anche insegnanti».

I due moschettieri

Ammettere che sì, i tagli ci sono. E confermare che però non cambia niente, che l’offerta formativa resta intatta e che i genitori devono stare tranquilli. La missione — non semplice — è stata affidata a due superesperti del ministero, i direttori generali Luciano Chiappetta e Giuseppe Cosentino. I due stanno girando l’Italia per incontrare sindacati, direttori regionali, addetti ai lavori. Armati di pazienza, tabelle e quadri orari, riepilogano numeri e progetti. Primo: «Le riduzioni di organico non toccano il tempo scuola ma vanno a drenare le ore che i docenti hanno sempre impiegato in supplenze e compresenze». Secondo: «Non sono tagli indiscriminati, abbiamo tenuto conto degli indici di industrializzazione delle città, delle aree deboli, di quelle montane, delle piccole isole, delle zone a forte processo migratorio o con elevati tassi di dispersione».

Il nodo del tempo pieno

Triplo salto mortale. Che diventa quadruplo quando si tratta di tempo pieno, il nodo di quest’anno. Sparite le compresenze — «e quindi le fondamenta del modello didattico che il resto d’Europa ci ha sempre invidiato», protestano i comitati anti-Gelmini— le direttive ministeriali dicono così: «Nulla è innovato per quanto riguarda il tempo pieno. Restano pertanto confermati l’orario di 40 ore per classe comprensivo del tempo dedicato alla mensa e l’assegnazione di due docenti per classe».

Garanzie. E un’offerta variegata: quest’anno, per l’iscrizione alla prima elementare si potevano richiedere 24 ore settimanali, 27, 30 e 40. Ventaglio ampio, scelta univoca: solo il 3,8 per cento delle famiglie ha preferito un orario inferiore alle trenta ore. Successo del tempo pieno. Che a Milano è passato da 91,19 per cento delle richieste al 91,94 per cento. Ma anche nelle Regioni del Sud c’è stato un boom (a Palermo si passa dal 2 al 3 per cento). E allora? Come si concilia il picco di gradimento per l’orario lungo con i tagli? Risposta: eliminate le quattro ore di compresenza (in cui i due insegnanti della classe partecipavano insieme alla didattica), sfruttati «tutti i residui possibili», grattata via la concomitanza tra maestro della classe e insegnante di religione o specialista di inglese, conteggiato solo il «netto » del lavoro dei docenti, aumentato il numero di alunni per classe, «i conti tornano». «Al punto che — aggiunge Chiappetta — siamo riusciti a incrementare il numero di sea 40 ore». Per la precisione, spiegano da Roma, le classi a tempo pieno saranno 2.500 in più rispetto allo scorso settembre per un totale di circa 36 mila. Un aumento del 20 per cento. Non succedeva da nove anni.

Curiosità: Milano, capitale del tempo pieno, è anche la provincia che ha la maggior richiesta delle 24 ore. Il motivo lo spiegano i dirigenti scolastici: «Le famiglie con tenore di vita elevato preferiscono organizzare il pomeriggio dei figli con attività a pagamento ».

Comitati e genitori

Non si fermano le polemiche sui tagli. I genitori di Retescuole minacciano un ricorso al Tar, a Padova e provincia, denunciano i sindacati, saltano 356 classi a tempo pieno, si moltiplicano mozioni e petizioni, i professori delle medie («le più penalizzate dalla mannaia, si riducono perfino le ore di italiano») si stanno organizzando in comitati. «Sarà una scuola più povera », denuncia Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc lavoratori della conoscenza Cgil. «Il Mezzogiorno, che subisce il 40 per cento di tagli, è in ginocchio, aumenta il rapporto tra prof e alunni e così il numero di studenti per classe». Ancora: «Ai 42 mila insegnanti tagliati si aggiungono 15 mila tecnici. Trentamila supplenti annuali saranno sbattuti fuori dalla scuola ». Le richieste della Cgil: ammortizzatori sociali e l’immissione in ruolo di tutto il personale precario. «L’unico filo logico di questo governo è la riduzione dei costi. Non abbiamo visto nessuna riforma ».

È più ottimista Bruno Iadaresta, responsabile scuola del Moige, il Movimento Italiano Genitori: «Accogliamo positivamente le novità introdotte dalla riforma Gelmini. L’opportunità di scegliere diversi modelli orari è un importante aspetto di partecipazione attiva delle famiglie. Bene anche il maestro unico». Conclusione: «Siamo d’accordo con la riduzione degli orari del tempo ordinario, ma sottolineiamo la necessità che a questa novità venga affiancato un allargamento delle classi a 40 ore, offerta necessaria per rispondere alle esigenze sociali delle famiglie d’oggi e allo stesso tempo possibile soluzione di assorbimento degli insegnanti che si sono visti tagliare il proprio posto di lavoro».

Il ministro

Mariastella Gelmini: «La riorganizzazione della spesa ci permetterà di avere più risorse per i laboratori, per le strutture, per aumentare il tempo pieno»
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